Dopo anni di attesa e con un ritardo non da poco rispetto all’uscita del terzo libro della saga della donna più pasticciona della letteratura rosa, è tornata nelle sale italiane il 26 settembre Renée Zellweger, nei panni di una Bridget Jones più magra ma decisamente sconclusionata proprio come l’avevamo lasciata dieci anni fa.
E se Hugh Grant ha dato forfait, l’ex Dottor Stranamore Patrick Dempsey non solo si cala perfettamente nel ruolo di rivale del sempre azzimato Colin Firth ma fa sospirare più di una persona in sala.
Nel mezzo le risate sono garantite.
La trama in breve
Sono passati dieci anni e Bridget Jones, all’alba dei suoi quarantatré anni è ancora single e senza figli. Rotto l’idillio con un Mark Darcy sempre troppo impegnato e ora sposato con un’altra donna, con gli amici lontani, tutti impegnati nei loro complessi ménage familiari, Bridget si sente drammaticamente sola.
Proprio per questo decide di accettare l’invito della collega Miranda a un festival di musica pop ed è lì che incontra Jack Qwant. Nonostante la scintilla fra i due scatti quasi immediatamente, tocca proprio a Jack essere mollato nella sua tenda il mattino dopo e Bridget si convince che si sia trattato solo di una notte di passione senza conseguenze.
A quel punto, però, la ruota del destino ha ricominciato a girare ed è così che poco più di una settimana dopo, Mark riappare a una festa di battesimo e, comunicata la notizia del suo imminente divorzio, le antiche fiamme di una passione mai sopita ricominciano a bruciare.
E se Bridget crede che basterà scappare per non farsi riacciuffare per il collo da sentimenti molto scomodi, sarà quando un inatteso bambino busserà alla porta che la nostra eroina si ritroverà costretta a fare i conti con se stessa e i complicati rapporti sentimentali in cui è rimasta invischiata, complice un pacchetto di profilattici forse troppo scaduti.
Dieci anni dopo tutto è come prima
Bridget Jones’s Baby non ci prova neanche per un secondo a essere soltanto una commedia romantica e sfocia quasi subito nel surreale puro.
Mentre le gag e le situazioni al limite del ridicolo – che sono sempre state la marca distintiva di questa sconclusionata eroina da melò post-moderno – si sprecano e alzano sempre più il tiro dell’inverosimile, lo spettatore non può fare altro che ridere, fino alle lacrime.
Lo spunto della trama è quanto mai classico: mater certa est, pater semper incertus. Lo svolgimento è a dir poco eclettico: sembra di guardare un cartone dei Looney Tunes e forse è proprio questa la vera forza di un film che non ha ambizioni particolarmente drammatiche o di denuncia sociale. In un risultato finale è quello di un trash di classe con trionfo di buoni sentimenti su cui la regia, gliene sia dato merito, non calca la mano.
Bridget Jones si adatta con efficacia al passare del tempo, all’invasione di smartphone, giovani hipster e notizie-bufala che minacciano il suo serissimo (più o meno) lavoro giornalistico, con tanto di scena madre sull’etica del lavoro distorta dei giovani d’oggi.
Alla fine neanche importa sapere davvero in che modo si risolva l’inedito trio genitoriale che vede Mark Darcy e Jack Qwant fare la ruota per mostrare chi sia più degno di essere un buon padre: i pasticci di Bridget Jones restano sempre assurdamente divertenti. E tanto basta.