La crisi internazionale si sposta ora sul campo dei rifornimenti energetici. La Russia infatti ha deciso di bloccare gli approviggionamenti di gas alla vicina Ucraina. Ad annunciarlo Gazprom, società che gestisce in regime monopolistico il gas russo. Tra i due Paesi, un tempo amici ed alleati, non corre buon sangue da tempo. Soprattutto da quando vi è stato il recente avvicendamento alla guida del Paese ucraino, diventato oggi decisamente filo-europeista.
Anzi, Vladimir Putin accusa la stessa Unione europea e la Nato di aver pesantemente influenzato la politica interna ucraina e il sovvertimento del suo governo. Tornando alla questione gas, vediamo di seguito come Gazprom ha giustificato questa scelta e quali rischi corre il resto d'Europa, compreso il nostro Paese. Del resto, l'Ucraina costituisce il corridoio principale grazie al quale il gas russo arriva agli altri Paesi. E l'Italia dipende fortemente da esso.
L'annuncio di Gazprom
Il colosso russo, ha bloccato infatti i rifornimenti di gas alla confinante Ucraina, ormai non più sotto l'influenza russa dopo la caduta dell'ex Premier.
Il motivo starebbe nel mancato pagamento anticipato delle sue forniture. Lo ha reso noto il numero uno dell'azienda Alexei Miller, precisando che il rifiuto da parte ucraina di acquistare il gas russo pone «seri rischi» al transito del gas dall'Ucraina all'Europa. Sarebbe stata dunque l'Ucraina a rifiutare il gas russo e ciò dunque mette a serio rischio l'intera Europa. Tra i due paesi già si sono verificate altre crisi del gas. Soprattutto per la questione Crimea, penisola che la Russia negli anni '50 aveva ''regalato'' all'Ucraina ma che di recente si è ripresa con la forza. Pur essendo amministrativamente gestita dall'Ucraina, la Crimea ha una quasi totalità di popolazione di origine russa.
L'Ucraina ha risposto a questo taglio dei russi vietando tutti i voli di compagnie aeree russe sul proprio spazio aereo.
La situazione italiana
Fortunatamente, l'Italia gode di sufficienti riserve e viene rifornita anche da altri Paesi (vedi Algeria, Olanda e Norvegia). Seppur in misura nettamente inferiore. Considerando poi che da ormai quattro anni i rifornimenti consistenti provenienti dalla Libia (l'11% del fabbisogno totale) si sono drasticamente ridotti con la caduta di Gheddafi. Pertanto, se dovessero venire a mancare anche quelli russi, oggi pari a circa il 60%, ovviamente a lungo termine qualche problema si avrebbe. Anche in virtù del fatto che gli inverni sono divenuti molto più rigidi, seppur più brevi.