Sette le destinazioni, almeno per il momento. Sono partiti da Damasco i primi convogli umanitari per fornire aiuti alla popolazione siriana. Si tratta di un centinaio di camion organizati dalla Mezzaluna Rossa in coordinamento con l'Onu. Prende dunque corpo uno dei punti sottoscritti nel corso degli accordi di Monaco, in attesa del "cessate il fuoco" a partire dal 19 febbraio.

Non rientra però in questo contesto la lotta contro le forze dell'Isis e in proposito l'esercito regolare siriano, spalleggiato dall'aviazione russa, starebbe per aprire un secondo fronte direttamente a Raqqa che viene considerata una delle proprie capitali dagli esponenti del Califfato.

Accordo tra il governo di Assad e le Nazioni Unite

L'invio degli aiuti è stato possibile grazie ad un accordo raggiunto tra il governo siriano e l'inviato delle Nazioni Unite, Staffan de Mistura. Gli autocarri trasportano derrate alimentari e si fermeranno a Madaya, Zabadani e Muadamiya al Sham, non molto distanti dalla capitale, oltre ad Al Fuaa e Kefraya, queste ultime nella provincia di Idlib che si trova a Nord Ovest del Paese.

In un secondo momento i convogli cercheranno di raggiungere anche la zona di Deyr az Zor che si trova attualmente sotto assedio dalle milizie jiahdiste. Sarebbero almeno 500 mila i civili che risiedono in aree sotto assedio ed i primi, concreti auiti umanitari sono rivolti essenzialmente a queste zone.

Siege Watch: 'Oltre un milione di persone sotto assedio'

I dati forniti dall'organizzazione "Siege Watch" sono ancora più allarmanti. I civili sotto assedio infatti sarebbero oltre 1 milione e 100 mila, la maggior parte non avrebbe accesso al cibo. Gli attuali convogli verrebbero incontro alle necessità di "appena" 300 mila persone, lasciandone fuori oltre 800 mila.

Ci sarà il 'cessate il fuoco'?

Gli occhi del mondo sono comunque puntati sulla Siria, soprattutto in prossimità del termine per il 'cessate il fuoco' fissato a Monaco. Ci si chiede come sarà possibile rispettare tali accordi in un clima cruento di crescenti azioni militari. Lo stesso Bashar al-Assad sembra escludere l'ipotesi. Parlando alla TV di Stato, il presidente della Siria ha definito "poco realistica" la possibilità di porre fine alle operazioni militari. Ad avvalorare questa tesi anche la posizione di un Paese storicamente "nemico" del rais siriano. La Turchia infatti continua a premere per l'invio in Siria di truppe di terra nell'ambito di un'azione internazionale e nel contempo ha proseguito a bombardare le postazioni curde che, incredibilmente, sarebbero considerati alleati della coalizione militare guidata dagli Stati Uniti. L'ennesima posizione ambigua in questo assurdo caos.