“Entra e fai gol, Totò”.
Con queste parole Azeglio Vicini accompagnò l'ingresso in campo di Totò Schillaci quando mancava un quarto d'ora al termine della partita con l'Austria allo stadio Olimpico di Roma. La prima partita degli azzurri nel mondiale casalingo del 1990, una bella Italia fino a quel momento che, però, non era riuscita a sbloccare il match. L'attaccante siciliano, reduce da un grande campionato con la maglia della Juventus, fa dunque il suo debutto in Coppa del mondo entrando al posto di Carnevale. Passano una manciata di minuti quando Donadoni lancia Vialli sulla corsia esterna destra, il cross al centro e la girata di testa di Schillaci che vale l'1-0 e la prima vittoria dell'Italia ai Mondiali del 1990.
Il mito dell'attaccante "operaio", della più bella meteora nella storia della nazionale italiana, nasce in quella notte romana. Una notte magica come quelle cantate da Edoardo Bennato e Gianna Nannini nel brano che faceva da colonna sonora al grande evento sportivo.
Schillaci segnerà altri gol trascinando l'Italia fino alle semifinali, ma come ben sappiamo il sogno iridato verrà infranto dai "maledetti rigori" contro l'Argentina. Lui sarà il capocannoniere del Mondiale e arriverà a un passo dal Pallone d'Oro.
Doveva ancora compiere 60 anni, ma Salvatore Schillaci ci ha lasciati. È morto in una stanza del reparto di Pneumologia dell'ospedale Civico di Palermo dove era ricoverato dallo scorso 7 settembre.
Da qualche anno era malato di tumore.
L'uomo dei sogni
Il destino ha voluto che la morte di Totò Schillaci seguisse di qualche giorno quella di Gary Shaw, lo splendido attaccante che trascinò l'Aston Villa alla vittoria del campionato inglese dopo oltre 70 anni e, addirittura, alla conquista della Coppa dei Campioni. Schillaci, come Shaw, era un uomo per cui l'impossibile diventava reale.
Era l'uomo dei sogni e con lui i tifosi del Messina sognarono uno storico ritorno in Serie A nella stagione 1988-89, quando fu capocannoniere in B con 23 gol. Una stagione fantastica che gli valse la chiamata della Juventus. E con lui il popolo bianconero sognò di tornare ai vertici del calcio italiano in una difficile battaglia contro le corazzare Milan, Napoli e Inter di quel periodo.
Alla sua prima stagione a Torino mise a segno 15 gol che gli valsero la chiamata di Azeglio Vicini per i Mondiali del 1990. Un inserimento per certi versi inatteso: Totò per esempio non figura tra gli "azzurrabili" dell'album Panini di Italia '90 che, come tutti gli album di figurine dei Mondiali, venne dato in stampa mesi prima dell'evento. Non era in odore di nazionale, ma Vicini lo volle vedere all'opera in un'amichevole contro la Svizzera nella primavera del 1990 prima di decidere se inserirlo tra i 22 della fase finale di Coppa del mondo.
Una meteora devastante
Sono appena 16 le presenze in nazionale nella carriera di Totò Schillaci e sette i gol, di cui sei realizzati nel Mondiale del 1990.
Una cifra significativa che basta a comprendere quanto sia stato devastante l'impatto dell'attaccante palermitano in quel torneo. La sua epopea in azzurro durerà poco più di un anno, tra marzo del 1990 e settembre del 1991. Segnerà l'ultima rete in una triste sfida disputata a Oslo contro la Norvegia, persa 1-2 dall'Italia, che sancirà l'eliminazione nelle qualificazioni per gli Europei del 1992. La sua ultima presenza a Sofia, un'amichevole contro la Bulgaria. Sono tanti gli attaccanti che hanno totalizzato più presenze e più gol di Schillaci, ma lui ha avuto il merito di far sognare un intero paese e la sua nazionale resta ancora oggi tra le più amate e ricordate dagli italiani, anche se alla fine non ha vinto.
Perché in fin dei conti i sogni di Schillaci e dei suoi tifosi sono stati tangibili, ma non si sono avverati. Non ha vinto i Mondiali, non ha vinto lo scudetto con la Juventus e non lo vincerà nemmeno con l'Inter, anche se una squadra nerazzurra non irresistibile si sarebbe resa protagonista di un campionato memorabile nella stagione 1992-93, giungendo a insidiare un Milan fenomenale per il titolo. Complessivamente la sua esperienza all'Inter non sarà del tutto felice soprattutto a causa di problemi fisici. Così Schillaci porterà tutti i suoi sogni in Giappone diventando l'idolo dei tifosi del Júbilo Iwata. Quattro stagioni a suon di gol nella J League prima di appendere le scarpette al chiodo nel 1997.
La camera ardente allo stadio che non è mai stato 'suo'
Il sindaco di Palermo, Roberto Lagalla, ha reso noto che la camera ardente per Totò Schillaci verrà allestita allo stadio Renzo Barbera. Curioso che diventi il "suo" stadio proprio in occasione del suo ultimo viaggio, perché quella maglia rosanero sognata da bambino non l'ha mai vestita.
Militava nell'AMAT Palermo, formazione di quartiere che rappresenta l'omonima azienda municipalizzata, quando il club del capoluogo siciliano si interessò di lui e del suo compagno di squadra Carmelo Mancuso. Ci fu troppa differenza tra la domanda e l'offerta, sette milioni di lire all'epoca tra l'AMAT che ne voleva 35 e il Palermo che ne offriva 28. Fu poi il Messina a ingaggiarlo nel 1982 e a farlo esordire nel calcio professionistico e la città peloritana ha sempre rivendicato Schillaci come "suo".
Del resto due promozioni, dalla C2 alla C1 nel 1983 e poi in Serie B nel 1986, non si dimenticano facilmente, così come il citato titolo di capocannoniere della serie cadetta nel 1989.
Totò patrimonio nazionale
Messina che ne rivendica la paternità calcistica, l'Italia intera che ne rivendicava con orgoglio l'appartenenza, da Bolzano a Trapani, nel 1990. La sua esultanza quasi incredula dopo ogni gol, quegli occhi "spiritati", quell'incredibile confidenza con la rete in quell'estate di 34 anni fa in cui ogni suo pallone in area era praticamente una sentenza per gli avversari. Chi lo paragonava a Paolo Rossi, il bomber dell'eroico Mundial 1982, chi lo trasformava in un novello Garibaldi capace di unire l'Italia da nord a sud.
"Lasciatemi essere quello che sono, Salvatore Schillaci, né la reincarnazione di Paolo Rossi né quella di Garibaldi, anche se credo di aver unito con i miei gol anche l’Italia delle leghe e non sono neppure un campione", dirà Schillaci nel corso dei Mondiali italiani.
Oggi l'Italia intera lo ricorda come l'uomo dei sogni impossibili di cui questo ragazzo, nato e cresciuto nel CEP di Palermo, era davvero l'incarnazione. Perché nel calcio talvolta non serve essere Pelé, Maradona o Messi per avere l'amore e l'ammirazione della gente e, a volte, non è necessario nemmeno vincere. A volte basta solo sognare a occhi aperti per essere felici.