Rodrigo Duterte, attuale presidente delle Filippine, e in precedenza sindaco della città di Davao è evidentemente un politico istintivo, poco diplomatico e deciso sostenitore della lotta senza quartiere alla criminalità. Quando era alla guida di Davao era sospettato di appoggiare e tollerare le azioni di “squadre della morte” che uccidevano sospetti criminali. Questo non ha frenato la sua ascesa politica anzi probabilmente l'ha rafforzata. Davao ha visto calare vistosamente il livello delle attività criminali diventando una città sicura.

Non solo populismo

Il comportamento schietto e i gesti plateali messi in atto in più occasioni fino agli insulti prima all'ambasciatore e poi al presidente degli Stati Uniti possono essere le mosse di un politico populista desideroso di ingraziarsi l'elettorato. Sicuramente hanno questo aspetto ma rappresentano anche l'indicatore di un crescente disagio verso i tentativi di egemonia U.S.A. nell'area asiatica.

Motivi scatenanti

A innescare i coloriti vocaboli pronunciati da Duterte sono state le critiche alla sua politica di ordine pubblico. Ha applicato alle dimensioni nazionali l'esperienza di Davao; dall'inizio del suo mandato migliaia di criminali sono stati uccisi in scontri a fuoco con la polizia o da “squadre della morte” non identificate.

Sembra che la maggioranza della popolazione apprezzi il suo operato ma dalle stesse Filippine e da organizzazioni umanitarie internazionali sono evidenziati il mancato rispetto dei diritti umani e legali. Si teme che Duterte possa trasformare la sua presidenza in una dittatura. Il presidente Filippino ritiene di agire per il bene della nazione e, nel suo stile, ha rimandato le critiche al mittente.

In Asia, un'area in evoluzione sociale e finanziaria, non sono più disponibili ad accettare il ruolo di gendarme e istitutore degli Stati Uniti; l'incidente diplomatico è l'indicatore di uno stato d'animo che probabilmente non riguarda solo le Filippine.

Anche a fronte della enorme contraddizione che vede l'amministrazione U.S.A. criticare il governo Filippino mentre negli Stati Uniti stessi le forze di polizia sono coinvolte nelle uccisioni dai contorni sempre ambigui di cittadini afroamericani.