Nadia, già candidata al Premio Nobel per la Pace 2016, è stata nominata Ambasciatrice di Buona Volontà delle Nazioni Unite per la Dignità dei Sopravvissuti al Traffico di Esseri Umani. Giovedì scorso 15 settembre, inoltre, ha ricevuto dal Parlamento europeo il Premio Sakharov per la Libertà di Pensiero per la sua coraggiosa testimonianza dell’orrore da lei subito; orrore che continua a subire la sua gente, soprattutto le donne.

Parlando al Palazzo di Vetro, dov’è in corso un vertice internazionale sui migranti a cui partecipa anche il presidente del Consiglio Matteo Renzi, Nadia ha dichiarato che, una volta sconfitto Daesh, bisogna fare in modo che i suoi membri “non si radano la barba e non riescano a nascondersi impuniti tra la folla".

La vicenda di Nadia

Nell’agosto 2014 Nadia Murad Basee Taha è stata rapita nel suo villaggio, Kocho, situato nella regione nord-irachena del Sinjar al confine con la Siria, dopo lo sterminio di tutta la sua famiglia: padre, madre e sei tra fratelli e fratellastri della ragazza. Nello stesso luogo, Daesh uccise in tutto 312 uomini e preso donne e bambine come “schiave del sesso”, nell’ormai famigerata e collaudata modalità di conquista di un territorio da parte dei terroristi islamici attraverso il corpo delle donne.

Nadia è stata una delle oltre 5 mila donne yazide fatte prigioniere quell’anno dal Califfato. E’ stata portata a Mosul, dove è stata segregata, picchiata e violentata ogni volta che tentava la fuga. Finalmente, nel novembre 2014, è riuscita a scappare dopo che uno dei suoi sequestratori era uscito dalla casa dove la teneva rinchiusa, senza chiudere la porta a chiave. In seguito la ragazza ha trovato rifugio presso una famiglia che è stata in grado di portarla fuori dalla zona controllata dallo Stato Islamico e le ha permesso di arrivare in un campo profughi a Duhok, sempre nel nord dell’Iraq.

Da lì è potuta partire per la Germania, dove ha ottenuto lo status di rifugiata. Ora vive a Stuttgart, capitale dello Stato del Baden-Württemberg, nella parte sud - occidentale del Paese e viaggia per il mondo per portare la propria testimonianza in favore delle almeno 3.200 donne yazide che sono ancora nelle mani degli uomini dell’Isis.

Nel settembre 2016 la procuratrice Amal Alamuddin, l’avvocata anglo-libanese nota per essere la moglie di George Clooney, ha accettato che difenderà legalmente la ragazza alla Corte penale internazionale dell'Onu: lo scopo è ottenere che la comunità internazionale riconosca con il termine “genocidio” la strage di Daesh contro i yazidi e faccia condannare i responsabili.

Le parole di Amal Alamuddin all’Onu

“Vergogna”: questo ha detto di provare l’avvocata dei diritti umani che il 29 settembre 2014 ha impalmato il desideratissimo divo di Hollywood e paladino dei cittadini del Darfur. Secondo Amal “gli Stati stanno fallendo nel prevenire ma anche nel punire il genocidio. E questo solo perché potrebbero veder pregiudicati i propri interessi”. Amal ha anche osservato che a suo avviso “Non basta bombardare l’Isis: non è così che si arrestano gli obiettivi dello Stato islamico.

Si possono uccidere individui, ma la conseguenza sarà solo che i sostenitori dell’Isis avranno strumenti di propaganda per reclutare più adepti. Bisogna cambiare la narrativa, cambiare la mente delle persone”.

Amal ha spiegato ciò che intende anche in un’intervista per l’emittente televisiva americana Nbc: bombardando e basta, “lo Stato islamico potrebbe tornare a formarsi sotto un diverso nome. Chi segue Daesh ha ricevuto un lavaggio del cervello. Io credo che un modo di agire contro di loro è rendere pubblica, far vedere la brutalità delle sue azioni e la sua corruzione”.