Un nuovo passo nell'ambito delle pari opportunità è stato compiuto, in un contesto sociale che necessita l'affermazione quasi quotidiana della figura femminile, del suo ruolo all'interno, non solo della società stessa, ma del nucleo familiare. Il cognome della mamma può, da oggi, essere affiancato a quello paterno. Una consuetudine consolidata in diversi Paesi del mondo, una consuetudine inversa quella radicata, invece, nella nostra Nazione.
Un'Italia patriarcale
Subissati da una tradizione patriarcale, che assurge a modello il "pater familias", il capo dei figli, l'unico responsabile delle loro azioni, quasi fosse il solo ad averli generati, siamo forse giunti ad una svolta.
Una lotta che dura da 40 anni, quella di molte donne che si sono battute affinché il loro cognome potesse figurare accanto a quello del loro coniuge. A favorire la svolta, il ricorso di una coppia italo-brasiliana, residente a Genova, che aveva chiesto di poter registrare il proprio bambino con il doppio cognome. Richiesta respinta a causa di quella norma che implicitamente prevede la sola attribuzione del cognome paterno ai figli nati all'interno del matrimonio. La Consulta ha dichiarato illegittima "l'automatica attribuzione del cognome paterno in presenza di una diversa volontà dei genitori".
Un passo in avanti che necessita ancora di una base sulla quale poter avanzare. Infatti, la legge che sancisce la possibilità, per i figli, di avere entrambi i cognomi, approvata alla Camera nel 2014, è bloccata in Parlamento da ben due anni, in attesa di proclamazione, nonostante i continui richiami da parte dell'Europa. Questo attesissimo evento, potrebbe finalmente fare da sprone perché qualcosa cambi definitivamente.
Baluardo maschilista
Ha una forte valenza simbolica l'obiettivo raggiunto grazie alla Consulta, il diritto di una madre ad assegnare il proprio cognome ad un figlio. È scrollarsi di dosso un retaggio ormai estremamente retrogrado e maschilista, che non fa che assegnare alla donna un ruolo subordinato a quello dell'uomo, anche quando è lei stessa la generatrice.
La persistenza di una tale costruzione culturale, ancora così radicata nel nostro Paese, esprime l'arretratezza della mentalità del suo popolo. Una mentalità che si basa ancora su retaggi del passato, che ha il timore di guardare avanti e che crede di dover mantenere vive quelle tradizioni che, ad oggi, servono a ben poco. Una sentenza questa, che riconosce il punto di partenza di ogni singolo individuo, ovvero la madre. La madre che genera, che porta in grembo per nove mesi la creatura che metterà al mondo, una madre alla quale spetta di vedere riconosciuti i propri diritti, che merita di vedere il proprio cognome accanto a quello del coniuge. Un messaggio vi è dietro questo, di fondamentale importanza: l'uguaglianza tra uomo e donna. Un tema fondamentale e di estrema attualità, poiché la cronaca è fitta di episodi che riguardano le atroci violenze che, ogni giorno, milioni di donne subiscono.
È, dunque, necessario che i nostri figli abbiano la consapevolezza della loro provenienza, che imparino a rispettare la donna sin dal primo momento, che abbiano la consapevolezza della parità tra uomo e donna sin da subito.L'augurio è che un simile passo da parte del Parlamento possa rappresentare un piccolo passo per la nostra società.