Il piccolo e sventurato Giovanni era frutto di una relazione extraconiugale. La clamorosa svolta nel caso del neonato morto dopo essere stato lanciato da un balcone a Settimo Torinese, è arrivata grazie all'esame del Dna sul suo corpicino disposto dalla procura di Ivrea e depositato dal medico legale Roberto Testi. Con l'acquisizione di questo fondamentale tassello, cominciano a trovare risposte gli interrogativi sul caso che ha sconvolto l'opinione pubblica.

I fatti risalgono allo scorso 30 maggio quando la mattina presto un operatore ecologico e un operaio di ritorno dal lavoro in via Turati, una strada di Settimo Torinese alla periferia di Torino, trovarono un neonato abbandonato sull'asfalto. Furono chiamati i soccorsi che tentarono in tutti i modi di rianimarlo, ma non fu possibile salvarlo. Poi si scoprì che la mamma, Valentina Ventura di 34 anni, oggi detenuta nel carcere delle Vallette con l'accusa di omicidio aggravato, lo aveva partorito nel bagno di casa e gettato in strada dal balcone del suo appartamento al secondo piano di un palazzo che che affacciava su quel punto della strada.

La donna, madre di un'altra figlia di 3 anni, non aveva detto nulla a sua marito Salvatore Scalas, che ha sempre dichiarato di non essere al corrente della gravidanza e che nell'inchiesta in corso è un testimone.

Il marito ha scoperto solo ora di non essere il padre del neonato

Salvatore Scalas martedì è stato convocato in Procura ed è stato interrogato a lungo dal procuratore capo, Giuseppe Ferrando, ma non è indagato e resta un testimone. Nel corso dell'incontro l'uomo che ha sempre dichiarato di non essersi accorto della gravidanza della moglie, ha appreso dal procuratore che quel figlio, mai riconosciuto dalla mamma, non era suo, ma era frutto di una relazione extraconiugale della donna. La sua reazione è stata dura, ma al tempo stesso ha ribadito la sua versione dei fatti, dicendo che solo nelle ultime settimane di gravidanza della moglie aveva avuto qualche sospetto.

E proprio alla luce di questo riscontro del Dna per gli inquirenti, la ricostruzione dei fatti data dal marito è "fedele e credibile".

Comportamenti anomali della donna

Valentina Ventura quel terribile giorno, dopo aver lanciato dal balcone il neonato partorito in bagno, era uscita di casa come niente fosse per accompagnare a scuola la bambina di tre anni affetta da una grave malattia ereditaria. Il giorno stesso del ritrovamento del corpicino, l'infanticida dopo un pressante interrogatorio confessò di averlo lanciato dal balcone, lasciando interdetti gli inquirenti per l'apparente "normalità" con la quale aveva sostenuto le accuse.

Un piano folle in mente

Certo tutto faceva pensare ad una sorta di amnesia o rimozione difensiva per superare il trauma di quel che aveva fatto, perché agli inquirenti aveva detto in un primo momento di non essersi neanche accorta d'essere incinta.

Poi aveva raccontato di essere andata in bagno e che il bambino era nato, ma che non ricordava niente di quel che era successo poi, né tanto meno di averlo lanciato dal balcone. In un secondo momento aveva detto di essere stata spinta al folle gesto per il terrore che il neonato fosse affetto dalla stessa malattia neurodegenerativa di cui soffrono il marito e l'altra figlia. Ora, l'esame del Dna, offre una nuova chiave di lettura del gesto criminale della donna. Probabilmente sapendo solo lei che quel bambino concepito era frutto di una relazione extraconiugale, mentre il marito era ignaro di tutto, voleva cancellare l'"errore", il suo terribile segreto, attuando un piano delirante. Come se quella gravidanza non ci fosse mai stata.