Un evento triste quanto inusuale stanotte a Monopoli in provincia di Bari, dove un neonato è stato abbandonato nei pressi del convento di San Francesco Di Paola. Particolarità di questo episodio è che l’infante è stato lasciato nella “ruota della vita”, uno strumento d’altri tempi utilizzato proprio per dare in affido i neonati senza rivelare l’identità della madre. Quanto strumento noto anche come “ruota degli esposti” fu usata per diversi secoli nei monasteri; consiste in una bussola girevole in legno solitamente di forma cilindrica divisa in due parti da uno sportello, una parte verso l’esterno e una verso l’interno dell’edificio.
Questo sistema permetteva alle madri che non avessero le possibilità di tenere o crescere un figlio di darlo in affido ai frati o alle suore, assicurandogli anche un futuro nel monastero.
L’abbandono tra ieri e oggi
Oggi questa pratica non è più in uso ovviamente, tuttavia un caso analogo dell’anno scorso costrinse il monastero pugliese a riaprire la ruota, una bambina fu lasciata senza custodia nei pressi del monastero ed è stata trovata morta la mattina seguente; oggi il neonato è stato affidato al Tribunale dei minori di Bari. L’abbandono di un figlio è un gesto che ha caratterizzato la storia dell’uomo dall’alba dei tempi, primo tra tutti il celebre personaggio biblico Mosè fino ad Angelo Rizzoli fondatore della Rizzoli editore, il leader politico sudafricano Nelson Mandela, le attrici Marylin Monroe e Frances McDormand fino al genio dei tempi moderni Steve Jobs.
Tanto nel passato quanto oggi l’abbandono dei propri figli è un’esperienza molto viva nel mondo.
La psicologia tra le madri e i figli
Argomento molto interessante per la Psicologia moderna è studiare il legame residuo tra una madre e un figlio dato in affido, ad anni di distanza; è infatti impossibile che tra i due non esista nessuna forma di legame, il figlio avrà sempre dei sentimenti combattuti verso la madre mai conosciuta ed ella sarà sempre afflitta dai sensi di colpa del suo gesto. Ora ogni caso merita di essere analizzato singolarmente, tuttavia finché madre e figlio non si ricongiungono (se anni dopo decidessero di cercarsi a vicenda) esistono delle linee guida generali che descrivono i sentimenti dei due membri della famiglia distrutta.
Prenderemo in analisi entrambi le parti, ma partiremo dal figlio: i neonati non hanno memoria della loro madre o del loro abbandono, una condizione che paradossalmente li aiuta a non soffrire del loro status di orfani. Durante le fasi della crescita il bambino vivrà della speranza di una riconciliazione, fino alla perdita di fiducia nella madre durante l’adolescenza e la prima fase adulta dove ella verrà colpevolizzata ed odiata. Con l’adulthood (transizione alla vita adulta completa) e la maturità viene a meno l’astio ed è più facile che l’orfano inizi a cercare la madre. Questa ultima fase si realizza solo se il dramma dell’abbandono viene metabolizzato, indice di maturità interna e quindi non automatico per tutti.
Il percorso luttuoso della madre invece è diametralmente opposto: ella vive il momento critico durante i primi momento dell’abbandono, dibattuta dalla necessità e dal dubbio di correttezza morale, ove il primo polo rappresenta i motivi dell’abbandono e l’altro il suo dovere come madre. Statisticamente ella ha più probabilità di riprendere il legittimo figlio nei primi due anni che in tutto il resto della sua vita, perché col tempo il dolore della perdita (vissuta quasi come un lutto) viene a meno e la madre riprende la sua vita soffrendo sempre meno per il figlio che non ha mai conosciuto. Tuttavia se quest’ultimo decidesse venti o trent’anni dopo l’abbandono di cercare la madre, questa nella maggioranza dei casi non fugge dal suo passato ma è pronta a farsi perdonare, vivendo una riconciliazione catartica che può restaurare ne non costruire da zero un rapporto.