“Il tempo non si è mai sposato, per poter fare quello che gli pare”. Con questa frase comincia il film e mette a proprio agio, perché una verità definisce i contorni di un pensiero che altrimenti passerebbe il guado tra i disagi di chi con il tempo ha un rapporto conflittuale, sottoposto alla percezione di non aver colto gli attimi giusti. Intersezioni valide per fissare un punto e poi proseguire, cambiare direzione in base a ciò che Vinicio Capossela chiama “siensi”, ossia “i senni dell'intelletto, fonte della saggezza, che fanno conoscere come si è fatti e come è fatto il mondo”.

Vinicio ha presentato in anteprima stampa all’Arcobaleno Film Center di Milano il suo nuovo film intitolato “Vinicio Capossela – Nel Paese dei Coppoloni” e noi c'eravamo. Due ore divise tra la proiezione dell’opera, l’intervento dell’artista e la presentazione del primo videoclip tratto dal suo nuovo album, che si chiamerà “Canzoni della Cupa” e uscirà a marzo. Il film, invece, debutterà sul grande schermo con un evento speciale martedì 19 e mercoledì 20 gennaio.

 “Esiste il paese dei Coppoloni?

"Da qualche parte ci deve essere - sostiene Vinicio -, dato che in questo film–documentario ci stiamo andando.

Siccome sono nato in Germania e da piccolo me ne vantavo, allora uso una parola che in italiano non c’è: “heimat”. E’ un vocabolo femminile, materno, ed esprime un sentimento per cui ci sente in qualche modo a casa; ma è una casa da cui si è separati e dunque perduta. Il concetto, da spaziale, si sposta sul piano temporale, come una specie di luogo perduto dell’infanzia. La mia “heimat” riguarda l’infanzia del mondo, quell'infanzia che alberga nel mito”. Così Vinicio prende a pretesto le sue origini campane e svolge un viaggio cinematografico,  geografico, musicale e fantastico in Alta Irpinia. E’ un cammino narrato, cantato e vissuto in prima persona da Capossela, in quel territorio giacimento di culture, racconti e canti che hanno ispirato l'ultimo romanzo dell’artista e da cui trae linfa il materiale del suo prossimo disco di inediti.

Diretto da Stefano Obino, “Vinicio Capossela - Nel Paese Dei Coppoloni” si svolge in “un paese che ci dice di tutti i paesi del mondo”, tra trivelle petrolifere e case abbandonate, pale eoliche e vecchie ferrovie, boschi, animali selvatici e paesaggi incontaminati. E poi i volti: quelli delle “mammenonne” che cantano litanie; quelli dei muli che affrontano sentieri in luoghi reali che diventano immaginifici; quelli di uomini testimoni di una ritualità che, secondo Capossela, “cessa, perché non si miete più e gli sposalizi si sono trasformati; i vecchi canti si separano dalla realtà che li hanno originati, ma rimane la loro forza evocativa. Perciò io ho cercato di attingere da questo giacimento, e così sono nate le canzoni della Cupa ”.

"Rispetto al tempo, siamo tutti emigranti"

Il film rappresenta le anime di un Capossela che spazia tra mito e allegoria, tra prosa e poesia, sacrificando una regia più fluida a una certa ridondanza di immagini ed espressioni che non sempre favorisce il piano delle evocazioni, anche letterarie. Perché una cosa sono le parole scritte in un componimento, altra sono le immagini e i linguaggi moderni, come il video, che a tratti spezzano l’immaginazione. Resta nobile il tentativo del “Guarramon” (così Vinicio è soprannominato nel film) di contribuire al recupero di un patrimonio culturale in cui ognuno può riconoscersi, anche se non ha mai vissuto in Irpinia, perché fa parte della storia del nostro paese.

Il racconto del “viandante” Capossela è anche una riflessione su come cambiano i luoghi e su come niente e nessuno trovi scampo davanti al tempo: “Rispetto al tempo – sostiene Vinicio - siamo tutti emigranti. L’immigrazione viene sempre collegata ai luoghi, invece quella che avviene in tutti noi è rispetto al tempo; emigriamo dapprima dall’infanzia, poi dalla giovinezza e, infine, dalla vita”.