Il 10 gennaio depositata una sentenza della Cassazione che in pratica non concede nessun mantenimento tra coniugi nel caso in cui il matrimonio sia durato troppo poco. Questa è solo una delle ultime sentenze che di fatto a riformato l’istituto del mantenimento che non è più quello di una volta. La fatidica frase pronunciata da tanti ex coniugi, “tanto mi deve mantenere” sta perdendo importanza.

A maggio del 2017 una sentenza che addetti ai lavori e persone interessate alla materia conoscono come ''sentenza Grilli'', ha corretto l’indirizzo di molti giudici imponendo come principio fondamentale quando si assegnava ad un coniuge l’obbligo di passare gli alimenti, l’indipendenza economica rispetto al tenore di vita. Ecco cosa c’è da sapere alla luce di tutte queste novità e come è cambiato l’istituto del mantenimento sia nel divorzio che nella fase immediatamente precedente, quella della separazione.

Matrimonio corto

L’assegno di mantenimento in genere è quello che viene concesso al coniuge più debole economicamente dopo la separazione.

Ad avvenuto divorzio poi, l’assegno di mantenimento viene trasformato nell'assegno divorzile. In linea di massima siamo di fronte a due istituti identici tra loro che si differenziano solo come nome e come tempistica della loro erogazione. L’ordinanza della Cassazione 402/2018, depositata mercoledì scorso ha respinto un ricorso di una donna che chiedeva il mantenimento al suo ex dopo un matrimonio durato appena 28 giorni. I giudici hanno rilevato che il matrimonio così breve, che nella fattispecie non aveva nemmeno avuto la convivenza dei coniugi durante i 28 giorni, non dava diritto a nessuno dei due di richiedere l’assegno di mantenimento all'altro coniuge. Alla luce della sentenza esce fuori che un matrimonio per dare vita in sede di separazione o divorzio ai cosiddetti alimenti, deve essere di una certa durata tanto da dimostrare una certa comunione sia fisica che spirituale tra i due congiunti.

Matrimoni di comodo come il caso oggetto della sentenza, con il marito ufficiale dell'esercito degli Stati Uniti d'America, che grazie al matrimonio avrebbe ricevuto benefit e gratifiche e con la moglie che si è sposata per mere questioni economiche, contraddice il principio della comunione spirituale che i giudici ritengono necessario per attribuire al matrimonio la qualità utile al successivo assegno divorzile.

Autosufficienza economica

Prima della sentenza Grilli i giudici erano orientati a concedere il mantenimento immediatamente dopo la separazione e soprattutto a carico del coniuge che avrebbe dovuto garantire anche dopo la separazione, lo stesso tenore di vita all'altro. Per l’assegno di mantenimento si tende comunque ad utilizzare l’orientamento vecchio, quello del tenore di vita.

Per la separazione consensuale i coniugi decorsi 6 mesi possono rivolgersi al giudice per il vero e proprio divorzio. Nella separazione giudiziale invece devono passare 12 mesi. Il divorzio mette fine alla comunione dei due coniugi cancellando del tutto il matrimonio e per questo motivo che i giudici adesso sono orientati a cancellare il tenore di vita dall'assegno divorzile. Non è più necessario dopo il divorzio che un coniuge, benché più debole economicamente debba detenere lo stesso tenore di vita avuto durante il matrimonio. In pratica, se un coniuge ha uno stipendio di 10mila euro e l’altro di soli 1.000, l’autonomia finanziaria di quest'ultimo sarebbe già sufficiente. In definitiva nulla toccherebbe a quest'ultimo perché sarebbe capace di mantenersi da solo.

Anzi, nei casi estremi, qualora un coniuge avesse percepito l’assegno divorzile che adesso un giudice ha revocato, in caso di contenzioso successivo potrebbe essere tenuto oltre che a pagare le relative spese legali di entrambi, anche a restituire quanto percepito di assegno divorzile.

In definitiva possiamo dire che l’assegno di mantenimento è dovuto allo scopo di concedere al coniuge debole lo stesso tenore di vita avuto durante il matrimonio, ma solo nel lasso di tempo che passa dalla separazione al divorzio. Per l’assegno divorzile invece stop al mantenimento sempre e comunque perché l’annullamento di un matrimonio, soprattutto nel caso in cui l’altro coniuge sia indipendente come reddito o patrimonio detenuto.