Belgrado. Anno Domini 2017.

Ha precise coordinate spaziotemporali la fine dell’umanità. Che è qualcosa di ancor più drammatico della fine della Politica, che pure è agonizzante da tempo.

Non basterà una Giornata internazionale del migrante e del rifugiato a far puntare i riflettori sulla inumana condizione in cui migliaia di persone sono costrette a lottare per sopravvivere.

La neve, il ghiaccio, le temperature che scendono inesorabilmente sotto le zero. Lunghe file. L’acqua da luridi barili per lavarsi. L’acqua, poca, per dissetarsi.

Quelle colonne di persone avvolte in mantelli di fortuna sono lo specchio temporale di quei campi di concentramento il cui ricordo è racchiuso in un’altra giornata internazionale. Sono i volti scavati, le ferite, gli occhi ormai vuoti per le sofferenze a raccontarci che il confine del mondo è una linea in un capannone dismesso. Ma la situazione è altrettanto drammatica in alcuni campi profughi nelle isole greche, dove migliaia di persone sono costrette a far fronte alle ondate gelide di questi ultimi giorni.

Anno Domini 2017. Europa. Bambini, donne, uomini abbandonate al freddo, con scarse risorse di cibo, nella più totale violazione dei diritti umani fondamentali.

Le politiche di accoglienza nei Paesi dell’Unione Europea oscillano tra la necessità di garantire la sicurezza delle frontiere e quella di trovare una distribuzione equa dei migranti nei diversi Stati. Soluzioni che non sono in realtà soluzioni, ma tentativi di arginare uno tsunami con un ombrello. Il punto della questione è che non si può in alcun modo fermare l’emorragia di migranti a causa di conflitti, fame o dei migranti ambientali.

Ecco, a dire il vero, un modo ci sarebbe, ovvero eliminare i motivi stessi all’origine di queste migrazioni, il che significherebbe una totale ridiscussione delle politiche economiche europee (e internazionali) e un netto cambio di rotta in quelle che sono le politiche estere dei Paesi dell’Unione Europea, a cominciare dalla non ingerenza.

Va da sé che questo processo, ammesso che ci siano ancora le condizioni per renderlo possibile, è lungo e a ostacoli e non ci è concesso attendere oltre per costruire una rete di gestione dell’accoglienza e dell’integrazione di questi migranti (qualunque sia il motivo alla base del loro “peregrinare”). Una gestione dei flussi in entrata che sia rispettosa del fattore umano, fisico e psicologico, delle persone costrette a migrare non può che passare attraverso la costituzione di corridoi umanitari, strumenti resi possibili dalla legislazione europea e che avrebbero il doppio risultato di garantire la dignità del viaggio a queste persone e un controllo sugli ingressi, che metterebbe a tacere le sterili e propagandistiche polemiche su eventuali elementi destabilizzanti.

Se è necessario favorire e gestire il transito dei migranti, nella garanzia di chi arriva, ma anche di chi ospita, è altresì fondamentale gestirne la successiva integrazione, in una fase ancora posteriore rispetto all’accoglienza.

Non si può infatti parlare di integrazione laddove queste persone vengono stipate in centri in cui non vengono garantiti i diritti alla dignità delle persone, situazioni, peraltro, che sono da sole in grado di innescare violenza, rabbia e desiderio di rivalsa.

In un’ottica di normalità e non emergenziale sarebbe infatti opportuno costruire una rete sociale, in grado oltretutto di coinvolgere figure professionali come mediatori culturali, docenti, psicologi e molti altri, che favorisca l’inserimento di queste persone in contesti di normalità.

Nessuna persona nel 2017 può essere lasciata morire di freddo e indifferenza.