Pochi giorni fa, abbiamo assistito ad un ammutinamento generale che ha fatto saltare l’intesa sulla realizzazione di una nuova legge elettorale. A votazione conclusa, si sono avute reazioni di sgomento e rabbia tra gli scranni di Montecitorio, seguiti da un dominante imbarazzo quando si è illuminato il tabellone che ha compromesso, ma non inficiato, la procedura del "voto segreto".
Era davvero così imprevedibile questo "lexicidio?".
Le ragioni del "Lexicidio"
È probabile che il dibattito sulla legge elettorale e il suo fallimento siano stati dei meri atti di propaganda elettorale, soprattutto alla vigilia del rinnovo delle amministrazioni comunali in oltre 1.000 Comuni, tra cui 4 capoluoghi di regione (Catanzaro, Genova, L’Aquila e Palermo), e 25 capoluoghi di provincia. Se solo si fosse rispettata la segretezza del voto, e se il tabellone della Camera non avesse rivelato l’identità dei "franchi tiratori", probabilmente le accuse tra deputati sarebbero state molto più incisive e convincenti.
Tuttavia, considerando che per l'affossamento della legge è servito il coinvolgimento di deputati appartenenti all'intera tribuna parlamentare, sarebbe opportuno che le parti in causa recitassero un "mea culpa" di gruppo.
D'altra parte, è perfino ipotizzabile che la comune volontà parlamentare di concludere al più presto i lavori sulla riforma elettorale sia venuta meno proprio in vista del voto di domenica 11 giugno. Quale partito avrebbe avuto il coraggio di proseguire questo viaggio nell'ignoto senza aver prima utilizzato le amministrative come banco di prova? I risultati di questa tornata elettorale potrebbero mostrare una potenziale e pressoché fedele proiezione ortogonale di un ipotetico voto anticipato.
Probabilmente nessun partito, a prescindere dai sondaggi sulle intenzioni di voto, avrebbe davvero il coraggio di assumersi totalmente una responsabilità di queste proporzioni, senza avere alla mano dei dati concreti in grado di avallare il proprio "business plan".
Incognita astensionismo
Dunque, riflettori puntati sui Comuni che domenica 11 e, in caso di ballottaggio, domenica 25, chiameranno a sé 9 milioni di cittadini aventi diritto di "rottamare" o confermare le proprie amministrazioni comunali. Formalmente è un voto di interesse locale ma, sostanzialmente, rappresenta una valutazione positiva o negativa sull'operato del Governo Gentiloni e dei partiti che lo sostengono o vi si oppongono.
Come ad ogni appuntamento alle urne, la vera incognita rimane il partito dagli astensionisti che è capace, nel bene o nel male, di far pendere la bilancia a vantaggio o a svantaggio di un candidato, ma pur sempre a svantaggio della democrazia.