Mentre in Siria l'esercito regolare di Assad è pronto allo scontro finale contro lo Stato Islamico e le altre fazioni ribelli arroccate nella città di Idlib, in Libia si assiste ad un inedito sviluppo della guerra civile iniziata nel 2014. La 7/a Brigata, guidata da Abdel Rahim Al Kani e legata al signore della guerra Salah Badi, ha intensificato gli scontri intorno alla capitale, Tripoli. Le milizie di Al Kani hanno già preso il controllo della zona di al-Kurayema e si apprestano all'assedio della città finché questa non sarà totalmente liberata dalle “milizie corrotte” del presidente libico Fayez Al Sarraj.
Alla luce del bilancio di morti e feriti (50 morti e 200 feriti) coinvolti negli scontri degli ultimi giorni e in vista di una concreta minaccia all'incolumità di cittadini e istituzioni, il presidente del Governo di Unità Nazionale della Libia, Fayez Al Sarraj, ha già proclamato lo stato d'emergenza e chiamato a raccolta tutte le forze militari a lui fedeli per difendere la capitale: le Brigate Rivoluzionarie di Tripoli, la Forza speciale di Dissuasione (Rada), la Brigata Abu Selim e la Brigata Nawasi. Tuttavia, fonti non ancora del tutto attendibili sembrerebbero registrare le prime diserzioni tra i fedelissimi di Sarraj.
Le reazioni della comunità internazionale.
USA, Regno Unito e Francia hanno già condannato le violenze della 7/a Brigata, definendo le loro azioni 'un inaccettabile attacco alla stabilità del governo libico e alla sicurezza di tutta la Libia'.
Inoltre, si aggiungono gli sforzi diplomatici dell'ONU per scongiurare o, quanto meno, arginare il più possibile la violenta escalation che vedrebbe coinvolti non solo militari, ma sopratutto la popolazione civile.
I rischi per Italia e UE
Anche l'Italia è di fatto coinvolta, tanto nella mediazione tra le fazioni libiche contrapposte quanto negli scontri tra queste; infatti, si rammentano i colpi di mortaio scoppiati all'alba dell'1 settembre contro l'Hotel Waddan, struttura alberghiera non molto distante dall'Ambasciata italiana a Tripoli.
Non sorprende l'impegno diplomatico dell'Italia; infatti, nell'eventualità in cui dovesse fallire ogni tentativo di una soluzione Politica, il nostro Paese accuserebbe non soltanto un duro colpo economico (si rammenta, per esempio, la presenza di piattaforme offshore di Eni al largo di Tripoli), ma assisterebbe soprattutto alla fine di una tanto efficace quanto controversa partnership per la gestione del flusso di migranti provenienti dalla Libia. Ipotesi, quest'ultima, nefasta non soltanto per l'Italia ma per tutta l'Unione Europea e, probabilmente, una manna per tutte le forze sovraniste in occasione delle Elezioni Europee del 2019.