Una realtà, quella dei maltrattamenti da parte di maestre nei confronti di bambini, vittime innocenti, che diventa sempre più quotidiana. Ma cosa scatta nella mente di coloro che non vedono altra alternativa che umiliare e far soffrire piccoli angeli che hanno l'unica colpa di trovarsi nel posto giusto - nell'unico posto in cui a quell'età hanno il sacrosanto diritto e dovere di stare - reso un inferno da quelle che dovrebbero essere educatrici impeccabili.
L'ultimissima storia di maltrattamenti arriva dalla Puglia, precisamente da taranto, dove alla scuola XXV Luglio, una maestra 50enne è stata arrestata dalla polizia nella giornata del 23 novembre 2017, la quale si è accertata, grazie al sistema delle telecamere di videosorveglianza, che l'educatrice suddetta era solita maltrattare con urla, schiaffi e spinte i suoi piccoli alunni, di età compresa fra i due e i tre anni.
Che cosa scatta nella mente delle maestre?
Forse, soltanto Sigmund Freud, il beniamino della psicologia, saprebbe dire cosa accade nella mente delle maestre quando decidono di fare violenza su un piccolo essere indifeso, sia verbalmente sia da un punto di vista fisico.
Magari indagando nell'inconscio, nel sub-inconscio, magari facendo distendere su quel lettino coloro che si spacciano per educatrici e che, in realtà, si rivelano tutt'altro, riuscirebbe a venire a capo di un "enigma" tanto raccapricciante quanto surreale. Anche se, a dirla tutta, di surreale c'è ben poco, poiché trattasi di una questione profondamente radicata nell'attuale contesto sociale!
Già, perché nel momento in cui si privano della loro maschera, credendo che mai nessuno verrà a conoscenza di quei gesti così insulsi, lasciano fuoriuscire tutto il loro essere a dir poco inumano.
E se accadesse ai loro figli?
Sostanzialmente, i bambini sono, per le maestre, soggetti sconosciuti, individui che sono al di fuori della loro vita affettiva.
Agiscono su quegli angioletti con una violenza inaudita, che, data la loro tenerissima età non hanno ancora sviluppato le capacità di poter comprendere che siffatti soprusi, o maltrattamenti che dir si voglia, lacerano l'essere umano in quanto uomo, in quanto individuo avente una dignità, una morale.
Ma cosa accadrebbe se i bambini che tornano a casa con tanta paura addosso e, magari, dimostrano un atteggiamento di chiusura nei confronti dei loro stessi genitori, fossero i loro stessi figli? Cosa accadrebbe se fossero proprio quelle maestre a essere le mamme di quei bambini che, al mattino, prima di recarsi sul posto di lavoro, accompagnano a scuola credendo che in quel luogo, la scuola dell'infanzia, comincino a forgiarsi gli uomini e le donne che saranno in futuro e, invece, scoprono amaramente che quello è il luogo degli incubi peggiori?
Cosa farebbero se le urla e la violenza fisica, in modo particolare, fossero riservate ai loro figlioletti non in grado di difendersi?
Possibili ipotesi
Forse non è possibile dare un'ipotesi univoca per tutti i quesiti suddetti. O, forse, si potrebbe azzardare a rispondere in due modi, risposte che, ovviamente, scaturiscono dal pensiero che ognuno di noi ha. Da un lato, si potrebbe dire che - almeno nel caso di Taranto - la maestra, essendo una donna cinquantenne, non ha più la pazienza o, peggio ancora, la voglia di insegnare qualcosa ai suoi alunni, di lasciare un ricordo positivo nella mente del bambino prima e dei genitori poi. Dunque, la risposta va ricercata nell'innalzamento dell'età della pensione?
O della pensione che viene inseguita come Achille insegue la tartaruga senza riuscire mai a raggiungerla?
Dall'altra lato, si potrebbe dire che, facendo uso della violenza (intesa come fisica e verbale), la maestra intende affermare la propria severa autorità, e, dunque, i maltrattamenti sarebbero un modo contorto e inumano di imporre la sua propria volontà di dominio.