Fin dal suo lancio, la piattaforma Watson di IBM ci ha abituato ad assistere a una serie di casi di interesse notevole. Impossibile non pensare ai robot nei negozi (risultato di partnership con UnderArmour e Softbank Robotics), e a tutti gli altri robot gestiti da Watson, tra assistenti virtuali (IBM e IPsoft) e chatbot intelligenti (Deep QA di IBM). In che senso queste sono delle novità? Watson offre a robot e piattaforme virtuali la capacità di comprendere, apprendere, percepire e sperimentare: è Intelligenza Artificiale, in poche parole.

Uomo o macchina

Col proseguire delle sperimentazioni e con l'estensione dei campi applicativi di tecnologie di questo tipo, gli scenari che si aprono si sono diversificati ma, in definitiva, fanno emergere una stessa domanda, il tipico inquietante dubbio, da storia di fantascienza, che sembra prendere forma come una profezia in via di compimento: saremo sempre in grado di distinguere una macchina dall'essere umano? La questione si pone nel senso dell'intercambiabilità del lavoro umano e robotico. La risposta non sembra sempre banale e, allo stesso modo, si potrebbero elencare le differenze che intercorrono sul piano della creatività, del potenziale evolutivo e della capacità di calcolo e di apprendimento delle categorie in gioco.

L'Assistente robot del Professore

Il caso in questione, però, non ci pone davanti a un confronto teorico ma di fronte a una evidenza che, nella sua fase iniziale, sembrava avere tutti i connotati di uno scherzo giocato ai danni (o a vantaggio) di ignari studenti universitari.

Al Georgia Institute of Technology, la situazione era questa: come in ogni corso universitario, era necessario gestire e-mail e domande che gli studenti postavano nei momenti di interazione a distanza col docente; nella fattispecie, parliamo di un volume incredibile di 10 mila messaggi a semestre nei soli forum dedicati agli insegnamenti.

Docenti e assistenti si impantanavano nel rispondere a una considerevole mole di domande di routine: uno spreco di tempo e risorse, indubbiamente. Come risolvere?

Jill Watson

Ahshok Goel, professore di informatica presso il Georgia Institute of Technology aveva pensato bene di assumere un robot come assistente, cosa resa nota solo dopo un semestre, al termine di un periodo di sperimentazione che aveva visto Jill Watson, nuova assunta, interagire con successo con gli studenti: Jill rispondeva alle domande nel forum e inviava e-mail per ricordare imminenti date importanti, compiendo il tutto in un modo così umano che gli studenti non si erano mai resi conto di parlare a un robot.

Il progetto non ha visto il coinvolgimento diretto di IBM, dal momento che l'iniziativa di ricorrere a Watson è stata interamente del Georgia Tech. Per addestrare il robot, i suoi ricercatori hanno esposto Jill a oltre 40.000 post nel forum di discussione e le hanno insegnato a utilizzare le risposte già date, con l'aspettativa che, dopo un anno, Watson sarebbe stato in grado di rispondere al 40% di tutte le domande degli studenti, consentendo agli umani di affrontare domande tecniche più complesse: non si è trattato di una sostituzione ma di un valido aiuto. La sperimentazione procede e non sempre con risultati esaltanti.

Arriveremo al Professore robot?

Quel che è certo è che, col proseguire delle sperimentazioni, la visione del futuro si fa sempre più chiara.

In sempre più ambiti, anche se spesso solo in una fase beta, gli utenti possono intrattenere con un robot una conversazione naturale con l'aspettativa che vengano comprese le loro parole, così come i gesti e le espressioni.

Anche se, per molti aspetti, siamo oltre Jill Watson o lo saremo abbastanza in fretta, fa riflettere l'affermazione dello stesso Goel che è ben sicuro che non ci saranno professori robot per almeno altri 100 anni. In questa corsa all'efficienza, infatti, molti lavori si renderanno obsoleti, altri, nuovi, richiederanno competenze diverse e non per questo semplicemente più tecniche: più che di un'intercambiabilità vera e propria fra umani e robot, al momento, un'idea calzante potrebbe essere quella della possibilità di liberarsi di mansioni usuranti o che sottraggono tempo e risorse al cuore delle nostre attività.

Fino a che l'intelligenza artificiale non potrà creare se stessa, con il miglioramento dell'AutoML magari, anche gli esperti di intelligenza artificiale (10 mila nel mondo, oggi) potranno dormire sonni tranquilli; ma, soprattutto, fino a che punto questo sarebbe conveniente? Il trade-off è il classico costi/benefici, nel senso che fino a quando i costi saranno maggiori dei benefici, non si incorrerà in nessuna sostituzione, piuttosto, la possibilità da considerare potrebbe essere inaspettata, nella prospettiva di un adattamento verso forme di lavoro e di realizzazione personale più elevate: e se il centro di questo cambiamento non fosse la macchina ma l'essere umano?