Non ci sono guerre da combattere nell'Unione Europea, bensì negoziazioni da portare avanti in maniera competente e strategica. Sulle colonne de il Sole24Ore, il politologo Sergio Fabbrini sostiene che questa sia la ragione per la quale il Meccanismo europeo di stabilità (MES) non può essere adoperato come lo strumento più valido ai fini del superamento delle difficoltà economiche che la pandemia in atto ha drammaticamente portato con sé. Insomma, a dispetto di quanto asserirebbe il centrodestra, l'Italia non può affrontare da sola un'emergenza di tal portata.
Ciò risulta tanto più vero se si considerano tre parametri fondamentali: l'aumento del debito pubblico del 155 per cento; il deficit che raggiungerà il 10 per cento del Pil; la riduzione del Prodotto Interno Lordo del 9,1 per cento. Soltanto basandosi su questi dati - sempre secondo la riflessione di Sergio Fabbrini - è improbabile, se non addirittura impossibile, fronteggiare questa crisi senza precedenti completamente da soli.
Il Fondo di Ricostruzione
Al termine del quarto vertice europeo della scorsa settimana, i leader dei vari Paesi si sono dovuti confrontare con tre ordini di problemi. Il primo di questi fa leva sui programmi da mettere in atto per rispondere efficacemente alla pandemia.
Una volta di più, il Mes occupa una posizione centrale, pur nella consapevolezza che l'utilizzo esclusivo di questo strumento avrebbe un'incidenza limitata, se non del tutto insufficiente, per tornare alla situazione precedente.
Nel caso specifico dell'Italia, il contributo ammonterebbe a 34-36 miliardi di euro, sebbene il decreto "Cura Italia" preveda il doppio della spesa: "Nell'attuale situazione non avrebbe senso rinunciare a quei prestiti, ma ne avrebbe ancora di meno incendiare il Paese per causa loro" ha dichiarato al riguardo sempre Fabbrini.
Pertanto, il motore che permetterebbe la ripartenza dell'economia italiana, ma non l'estinzione dei debiti pregressi, è il Fondo di Ricostruzione e Sviluppo (Fors) di 150 miliardi. Questo strumento capitalizzando/ricapitalizzando i settori dell'agroalimentare, della logistica, della sanità, come pure dell'automazione e delle infrastrutture digitali, consentirebbe al nostro Paese di progettare nuove modalità attraverso le quali costruire la ricchezza nel mondo post-Covid-19, considerando che priorità, atteggiamenti e scelte dei consumatori saranno completamente differenti rispetto al passato.
L'azione del Fors, nonostante i vari rischi, rimodellerebbe su nuove basi il rapporto banca-impresa e dimostrerebbe la responsabilità dello Stato italiano nel prendere decisioni a vantaggio della libertà delle generazioni future.
Secondo problema: il finanziamento del Fondo
La suddetta visione ottimistica non può però prescindere da un secondo quesito fondamentale, ovvero come si finanzia il Fors. Qui entrano in gioco gli eurobond, vale a dire l'emissione di obbligazioni europee, che la Cee ha già adoperato nel 1975 per far fronte alla crisi petrolifera. Nel contesto attuale, secondo alcuni, fra cui il Presidente del Governo spagnolo Pedro Sanchez, si potrebbero emettere obbligazioni irredimibili o titoli di debito pubblico consolidato; secondo altri, invece, il finanziamento potrebbe derivare da altre risorse dell'Unione Europea, come ad esempio la tassa sul digitale e sulle emissioni di carbonio.
Ciò non graverebbe sui già stressati bilanci nazionali, ma farebbe registrare una maggiore riduzione delle differenze esistenti tra gli stati membri dell'Unione.
Terzo problema: la distribuzione delle risorse
Le risorse del Fondo di Ricostruzione, necessarie per rilanciare l'economia degli Stati colpiti dal Coronavirus, saranno interamente gestite dalla Commissione Europea, la quale coadiuvata dal Parlamento europeo e dai governi nazionali, terrà conto dei fini per cui si è fatta richiesta delle medesime risorse e vigilerà sul loro utilizzo.
L'assegnazione dei fondi rappresenta tuttavia un problema economico-politico, ma su questo punto si è espresso il tedesco Olaf Scholz, ministro delle Finanze, il quale, riconoscendo l'utilità delle sovvenzioni per i Paesi colpiti dalla pandemia, suggerisce di fondere i grants (appunto le sovvenzioni) con i loans (prestiti) per una ripresa dell'economia che avvenga a parità di condizioni (level playing field) tra gli stati membri.