Povero Matteo Renzi. Il presidente del Consiglio italiano stava facendo di tutto in questi ultimi tempi per cercare di far dimenticare ai connazionali la sua ennesima promessa da marinaio: "Se perdo il referendum costituzionale abbandono la politica". Ma le parole sfuggite all'ambasciatore americano a Roma, John Phillips, rischiano di complicare maledettamente i piani del nostro premier che, consigliato dal suo mentore Giorgio Napolitano, stava cercando in tutti i modi di slegare il suo destino politico da quello, ancora incerto, del referendum costituzionale sulla cosiddetta riforma Boschi-Verdini della Costituzione italiana.
Le parole di Phillips
Ma cosa ha detto di cosi grave il diplomatico statunitense - peraltro giunto a fine mandato come il suo commander in chief Barack Obama- da scatenare furiose reazioni bipartisan nel mondo politico del Belpaese? A sentire il discorso pronunciato da Phillips martedi 13 scorso, durante un convegno al centro studi americani di Palazzo Caetani a Roma, la vittoria del No al referendum rappresenterebbe un "grande passo indietro" per attrarre gli investimenti stranieri in Italia perché il vostro paese "deve garantire di avere una stabilità di governo". In pratica, una sorta di ricatto politico ad uno stato sovrano come l'Italia: se vince il no niente investimenti da parte delle imprese Usa.
Un endorsement a favore dei comitati del si, e quindi del governo renziano, che rischia pero' di trasformarsi in un boomerang per le speranze di Matteo e Maria Elena. Come se non fossero bastate le precedenti dichiarazioni da imperialisti neoliberisti di banche di affari come JP Morgan (che già tre anni fa tuonava contro i troppi diritti concessi ai lavoratori dalle costituzioni dell'Europa meridionale), o quelle di agenzie di rating come Fitch ("vittoria del no negativa per il paese"), adesso ci mancava solo il governo Usa, nella persona dell'ambasciatore a Roma, a ficcare il naso in casa degli altri, risvegliando per giunta un antiamericanismo di destra e di sinistra che in Italia sembrava sopito dagli anni '70 del secolo scorso.
La risposta di Mattarella
Da Forza Italia alla Lega, passando per i centristi e il M5S, per arrivare ai bersaniani del Pd e a quel che resta dei partiti di sinistra, è stato tutto un immediato tuonare contro il rinnovato imperialismo a stelle e strisce. Polemiche talmente aspre da costringere il solitamente muto presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, a twittare dalla Bulgaria dove si trova in visita ufficiale: il referendum rappresenta, posta Mattarella, un "passaggio democratico da vivere serenamente, interesse internazionale esiste, ma la sovranità resta degli elettori". In precedenza, Pier Luigi Bersani aveva definito le parole di Phillips "cose da non credere". Più duro, come da copione, il leader leghista Matteo Salvini che chiede di allontanare dall'Italia l'ambasciatore al grido di "mai più schiavi". Di "ingerenza gravissima" parla invece Roberto Fico, membro del direttorio pentastellato.