Non è cosa nuova che il Movimento 5 Stelle, coerente nella sua storica incoerenza, abbia di recente virato dalla Lega al Partito Democratico come proposta di governo. E se finora i dem intendevano porsi come opposizione, ora sembrano molto interessati ad occupare la poltrona presidenziale insieme ai Pentastellati, che sono stati capaci di ignorare la promessa di non coalizzarsi mai con il PD, da loro ampiamente bistrattato in campagna elettorale.
La formazione del nuovo governo appare sempre più confusa sia all'Italia che ai politici che dovrebbero decretarne le sorti, tra continui cambi di idea, schieramenti, opinioni e rapporti. L'assetto politico non è ancora chiaro, ma si sta delineando sempre di più un dialogo tra M5S e PD a scapito del possibile accordo di governo con la Lega, il partito maggioritario della Coalizione di Centrodestra, di fatto la forza #Politica con la percentuale più elevata alle elezioni. Se da un lato i Pentastellati sono l'entità solista con il maggior numero di voti, dall'altro è il Centrodestra il vincitore delle elezioni, ma ciò non ha impedito a Di Maio di conferire con il PD [VIDEO], sconfitto dal popolo italiano, infrangendo contemporaneamente la volontà degli italiani e le promesse fatte dal Movimento, mentre sia Lega che M5S urlano un ritorno alle urne a dimostrazione dell'annunciato fallimento parlamentare.
"Da una parte Salvini, dall'altra Martina... e io nel mezzo"
Ancora aperto al dialogo con un Di Maio sempre più a sinistra, solo pochi giorni fa Salvini tacciava di scarsa credibilità un eventuale accordo di governo tra PD e Cinque Stelle, specie dal punto di vista dell'immigrazione, lamentando l'altalenante condotta dei grillini nella scelta del partner governativo.
"Le percentuali di un governo tra PD e Cinque Stelle sono pari a zero - ha affermato il segretario della Lega - è un accordo contro natura e soprattutto una presa in giro agli italiani. Fossi un elettore dei Cinque Stelle avrei o problemi o vergogna: però ognuno fa le proprie scelte".
Pronta la risposta del segretario reggente del PD Martina, che si scaglia contro il leader leghista: "Salvini dovrebbe solo tacere perché è colpa loro se siamo arrivati fino a qui dopo 50 giorni di tira e molla, di caos e di scontri.
Lezioni da Salvini non ne prendiamo perché per altri due mesi ha raccontato agli italiani solo bufale. Un governo con Salvini come azionista di riferimento ci porterebbe da Orban (primo ministro ungherese, ndr) contro gli interessi italiani".
Ma queste sono solo le ultime dichiarazioni di una serie di complicati magheggi e tentativi di dialogo con la Lega andati nel verso sbagliato che hanno portato Di Maio ad avvicendarsi a Martina, nonostante ciò sia offensivo nei confronti dell’elettorato, che ha prediletto la Coalizione di Centrodestra e i grillini al governo uscente capitanato da Renzi prima e da Gentiloni poi.
Dato che la legge elettorale Rosato, il Rosatellum bis, incoraggia le alleanze di governo, gli inciuci, costringendo i Cinque Stelle a venir meno a uno dei loro valori (il principio di non alleanza), questo crea uno scomodo precedente, uno scabroso stallo governativo che potrebbe effettivamente riportare il Paese al voto, come ipotizzato sia da Di Maio che da Salvini: nonostante l'andazzo e le possibilità concrete di un governo Centrodestra-M5S ponderate, contemplate e salutate da entrambi, la questione dell'attribuzione della poltrona presidenziale ha generato disaccordo e attriti di non poco conto tra i due leader.
Non solo: a detta di molti e a ragion veduta, l'eventuale concrezione di un governo M5S-PD paleserebbe evidentemente che la democrazia non esiste, o che si tratta di un'illusione ipocrita. Ma ciò che è palese è comunque incomprensibile per chi, anziché pensare, tifa.
La democrazia indiretta ha fallito?
L'Italia è una Repubblica democratica. E, almeno teoricamente, la democrazia si fonda sulla sovranità popolare, poiché le decisioni legate alla soluzione di problemi della vita collettiva sono espressione del volere del dèmos. Tuttavia esistono due tipi di democrazia, determinatisi nel corso dei secoli: la democrazia diretta e la democrazia indiretta (o rappresentativa). In particolare, nel sistema previsto dal nostro testo costituzionale, pur essendo presenti istituti di democrazia diretta, come la petizione (art.
50 Cost.), l'iniziativa di legge (art. 61 Cost.) e il referendum abrogativo (art. 75 Cost.), prevale la democrazia indiretta: il popolo si governa attraverso organi altri, come il Parlamento, che lo rappresentano e che deliberano secondo il principio di maggioranza. Le decisioni prese a maggioranza possono apparire un limite alla sovranità del popolo - d'altronde Alexis de Tocqueville ci ricorda che la democrazia è la "dittatura della maggioranza" - ma siccome di fatto è impossibile raggiungere l'unanimità, il consenso espresso dalla maggior parte dei componenti di un determinato organo è ritenuto il metodo più democratico.
La scelta di tale forma di governo è dovuta al fatto che, con la creazione di vaste entità statali, la democrazia diretta sul modello ateniese risultò assolutamente impraticabile per vari motivi: nel regime tipico delle città-Stato greche tra il V e il IV secolo a.C.
(ma non solo), i cittadini partecipavano in prima persona alle decisioni inerenti la cosa pubblica. In assemblea essi definivano le leggi, determinavano i bilanci, decidevano sulle dichiarazioni di guerra e sui trattati di pace, sulle alleanze militari e commerciali con le altre città. Ma questo tipo di democrazia era fattibile solo grazie alle ridotte dimensioni di tali città-Stato e alla possibilità di trovarsi tutti a discutere nell'agorà, nella piazza principale, per le sorti del popolo stesso; tra l'altro a godere del diritto di cittadinanza era un numero esiguo e limitato di abitanti, precisamente i maschi adulti, liberi e nati in quella città.
Oltre ai comprensibili problemi di carattere demografico e politico, inoltre, a seguito dell'affermazione dell'economia di mercato e del principio della divisione del lavoro, le persone ebbero sempre meno tempo da dedicare all'esercizio diretto delle funzioni pubbliche, e iniziarono a demandarle alle istituzioni specializzate.
La forma rappresentativa è stata quindi una soluzione pratica, cosa che vale ancora oggi: con l'articolazione sociale estremamente complessa da gestire, è essenziale che i rappresentanti del popolo, votati dai cittadini, sappiano adempiere al loro compito in modo efficace ed esclusiva, assumendo le decisioni e legiferando.
È proprio in base a questo preambolo storico che la situazione in cui ci troviamo oggi appare inammissibile: in quanto democrazia indiretta, dovremmo essere rappresentati da governanti che noi stessi abbiamo votato (in maggioranza s'intende) nella tornata elettorale. Pertanto, le uniche forze politiche degne di accordarsi per formare un governo sono le entità partitiche maggioritarie, quelle che sono uscite vincitrici dalle elezioni politiche, solo loro e nessun altro (in questo caso, chiaramente, un governo Centrodestra-M5S).
Come se non bastasse, stando alle statistiche di Index Research, il 26,3% degli italiani chiede un immediato ritorno al voto con la medesima legge elettorale, il 22,8% non sa o non risponde, un buon 18,7% vorrebbe un governo M5S-Lega, il 12,9% accarezza l’idea di un governo del Presidente a termine e solo dopo nuove elezioni con questa legge elettorale, e infine solo un 11% sostiene un governo M5S-PD e un misero 8,3% appoggia l’eventuale governo M5S-Centrodestra, chiaro sintomo di come Berlusconi sia sempre più visto come un ostacolo, dopo le recenti dichiarazioni. Secondo un’inchiesta de L’Espresso durata un mese, invece, l’Italia è più equamente divisa tra M5S-Lega e il ritorno al voto e quasi nessuno abbraccia l’idea dell’alleanza PD-M5S.
Tra l’altro, inizialmente si parlava di giugno per tornare a vota, almeno stando al leader del Movimento, salvo poi slittare a un pronostico più plausibile per il 23 settembre, mentre si tengono ancora le nuove consultazioni di Mattarella. Tuttavia, le ultimissime vorrebbero un’ulteriore riapertura di Salvini al dialogo con i Cinque Stelle, nel cui incontro si sarebbe concordata la data dell’8 luglio per votare nuovamente, infatti “anche Di Maio è d’accordo” e ha affermato “da oggi (7 maggio, ndr) siamo in campagna elettorale. Andiamo a governare da soli, il 40% è a portata di mano”.
Tutto ciò evidenzia una grave falla all'interno del sistema rappresentativo, una mancanza della democrazia contemporanea che, già rea di non soddisfare l'elettorato minoritario, muove anche degli stravolgimenti non richiesti dal popolo e dalle leggi all'insieme di ministri e parlamentari che dovrebbero costituire la partnership governativa ultima.
E, forse, tale fallimento si identifica proprio con gli stessi cittadini che la democrazia la rendono possibile, a prescindere che essa sia diretta o meno. Ma si ravvisano anche innumerevoli altre debolezze, come la mera illusione del popolo di essere detentore del potere, un processo decisionale imperfetto a causa della possibilità di scelta da parte del popolo, gli incentivi da parte dei rappresentanti a raffigurare una realtà distorta, attuando peraltro politiche che non perseguono il benessere della popolazione ma con l'unico obiettivo di attirarne il consenso, l'incoraggiamento intrinseco nel sistema democratico alla corruzione e al malaffare, la distorsione cognitiva della popolazione sulle vicende politiche crea il terreno fertile delle derive populiste e la possibilità di inciuci di palazzo.
Scenari plausibili
Un illustre docente di diritto amministrativo, allievo di Sabino Cassese, tale Giacinto della Cananea, è l’uomo designato da Luigi Di Maio per guidare il “comitato scientifico di analisi dei programmi”, incaricato di “individuare con metodo le convergenze possibili dei 20 punti M5S con le proposte di Lega e PD”. E, operando come gli esegeti biblici nello studio comparato tra i tre vangeli sinottici, ha analizzato e confrontato nel dettaglio i testi programmatici dei tre partiti, caratterizzati da visioni del mondo radicalmente differenti, per rintracciare delle possibilità di accordo, arrivando a individuare ben 54 punti di convergenza, di cui 27 identici e condivisi dalle tre forze politiche: in pratica PD, Lega e Cinque Stelle parlerebbero una lingua molto simile, se non uguale paradossalmente.
Tralasciando le lungaggini burocratiche che caratterizzano la formazione di un governo, è dunque del tutto lecito ipotizzare un "contratto politico" (redatto peraltro da della Cananea in 10 punti) che metta d'accordo addirittura tutte e tre le parti, mantenendo solo i punti in comune nei programmi elettorali, che riguardano le politiche attive di sostegno al reddito con riforma dei centri d'impiego, una maggiore equità nella pressione fiscale sul ceto medio e il diverso trattamento fiscale tra le banche commerciali e le banche d'affari.
Si potrebbero inoltre rimuovere alcune promesse discordanti, come le Flat Tax tanto millantate dal Centrodestra in percentuale diversa, che contrastano la progressività risultando incostituzionali, e il reddito di cittadinanza, che, pur costituendo il cavallo di battaglia del programma pentastellato, annienterebbe la meritocrazia, perché la retribuzione deriva dal lavoro.
Piuttosto che promettere un sussidio, un contentino economico alle famiglie povere e disoccupate, si dovrebbe pensare a come incrementare i posti di lavoro. Perché non dobbiamo dimenticare che, in un modo o nell’altro, l'Italia resta sempre "una Repubblica democratica, fondata sul lavoro" e "la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione". O almeno si spera.