Il mandato esplorativo affidato al presidente della Camera Roberto Fico per la formazione di una maggioranza di governo 5 Stelle – Pd ha dato “esito positivo”, nel senso che un dialogo tra le due forze politiche può essere avviato per giungere, in qualche modo, all’obiettivo.
Di Maio e lo stesso “esploratore” Fico ci credono. Martina li incoraggia, sotto la spinta dei governisti del Pd. Mattarella, ispirato questa volta dall’adagio secondo cui “la fretta è cattiva consigliera”, ha concesso una settimana di tempo in più al Pd per dargli modo di convocare la direzione ed avere un suo definitivo pronunciamento sull’ipotesi di una “intesa contrattuale” con lo scalpitante Di Maio e il suo movimento.
La temperie possibilista è alimentata da affollati settori della stampa che, nei talk show televisivi, distribuiscono accortamente le presenze giornalistiche più interessate ad accalorarne lo sbocco.
Governo, alleanza M5S - Pd possibile solo con il 'si' di Renzi
A disturbare i manovratori è intervenuto personalmente Renzi che, uscito dal suo riserbo, ha ritenuto di ribadire posizioni nettamente contrarie ad ogni possibilità di accordo con i Cinquestelle, del resto già esposte a ripetizione dai suoi del “cerchio magico”. Un “no” sin qui secco e convinto, motivato non solo dai veleni polemici che le parti si sono scambiati fino all’altro giorno, non solo dalle “siderali” distanze programmatiche e dalla “discontinuità di governo” richiesta dai grillini, ma soprattutto da un opposto dna distintivo del modo di fare Politica e da una inconciliabile storia e cultura democratica.
E’ facile immaginare come si profili asfissiante il pressing che, come sostengono gli osservatori più accreditati (Paolo Mieli, Massimo Franco), si è già scatenato nei confronti dell’(ex) leader del Pd, un pressing che va dalla sommersa e concertata diplomazia delle cancellerie europee alle più o meno aperte sollecitazioni di quei poteri e di quei settori politici che, senza il “sì” di Renzi, perderebbero qualcosa e più di qualcosa.
Se i destini di questo scenario dipendono dal neo-senatore fiorentino, quelli del centrodestra appaiono dipendere da Berlusconi che, sia pure incontinente nelle sue affermazioni anti-grilline (che finiscono per riverberarsi in una direzione non propriamente favorevole a Salvini), resta in campo più come protagonista che come “regista”, ruolo che da sé si era appiccicato all’indomani del voto del 4 marzo.
Così stando le cose, Renzi e Berlusconi hanno già acquisito la centralità di questa fase politica, centralità dalla quale hanno sfrattato i cosiddetti “vincitori” della campagna elettorale, Di Maio e Salvini, destinati a scontare, più il primo che l’altro, gli effetti delle loro ingenuità politiche. Il Renzusconismo si staglia nitidamente nella congiuntura di quella che appare essere sempre più una crisi politica e istituzionale.
La spasmodica attesa del verdetto della direzione del Pd descrive esattamente le coordinate di una strategia da stallo che potrebbe vanificare il voto degli italiani o preludere ad un rigurgito di quel gattopardismo che Di Maio e Salvini si erano solennemente ripromessi di sconfiggere. Molto dipenderà dagli esiti del voto di domenica in Friuli Venezia Giulia, una italica Ohio, più Ohio di quella molisana.