Sta facendo molto discutere sui social la decisione della Rai di non permettere più nei propri programmi il blackface: quindi gli artisti non potranno più truccarsi da personaggi di colore. La scelta è stata presa dai vertici di viale Mazzini dopo una serie di proteste contro Tale e Quale Show: nel varietà di Carlo Conti, dedicato alle imitazioni di cantanti celebri da parte dei vip, in passato è capitato spesso che i concorrenti dovessero immedesimarsi in notissimi interpreti afroamericani.

Col passare degli anni sono aumentate nei confronti del programma le accuse esplicite per il blackface, la pratica razzista diffusa il secolo scorso negli Stati Uniti, quando i bianchi si truccavano da neri, accentuandone in modo ridicolo certe caratteristiche del fisico o della voce. Nelle ultime ore è stato comunicato l’impegno ufficiale della Rai per impedire che si ripetano situazioni simili, nel rispetto di tutte le culture e le etnie.

I casi di blackface che hanno interessato 'Tale e Quale Show'

Sui social la polemica sul blackface a “Tale e Quale Show” covava da anni, ma senza aver mai destato grande clamore, anche perché in molti la giudicavano eccessiva.

Tuttavia, nel corso dell’ultima stagione del varietà, Ghali si è lamentato pubblicamente della sua imitazione portata sul palcoscenico da Sergio Muniz. Il trapper, che in passato era stato rifatto anche da Vladimir Luxuria, sui social ha criticato apertamente il blackface, sottolineando di non essersi offeso, ma anche di non aver riso per quello che giudicava più che altro un atto di ignoranza da parte degli autori. Già in precedenza c’erano state critiche al programma, in particolare quando Roberta Bonanno aveva indossato i panni di Beyoncé; tuttavia con Ghali per la prima volta un artista imitato si è opposto apertamente a questa consuetudine della trasmissione di Rai Uno, che nelle sue dieci edizioni ha proposto copie di artisti afroamericani come Stevie Wonder, Michael Jackson, Louis Armstrong, Nat King Cole, Gloria Gaynor, Whitney Houston e Tina Turner.

La risposta della Rai alla lettera delle associazioni che criticavano il blackface

A quanto pare lo scorso gennaio, dopo il clamore per le proteste di Ghali, diverse associazioni che si occupano di contrasto al razzismo hanno inviato alla Rai e a Carlo Conti una lettera per chiedere apertamente di non utilizzare più il blackface nei programmi di intrattenimento del servizio pubblico. In queste ore è stata resa nota la risposta dell’azienda televisiva che si è assunta l’impegno di fare in modo che in futuro una simile pratica non si ripeta più e di realizzare nuove iniziative per diffondere nei dipendenti la consapevolezza della necessità di evitare il blackface.

Che cos’è il blackface

Il blackface nasce nell’Ottocento: gli attori teatrali bianchi si truccavano appositamente per assumere l’aspetto stereotipato di una persona nera.

Gli artisti utilizzavano il sughero bruciato, oppure del cerone scuro o ancora del lucido per scarpe e indossavano spesso frac o abiti da straccione per portare in scena delle caricature, che hanno contribuito non poco a diffondere certi atteggiamenti razzisti. Nonostante questo aspetto, il blackface è stato a lungo molto comune negli Stati Uniti, fino a diffondersi anche in Europa. Questi clichè negli anni successivi si sono trasferiti anche al cinema: per esempio, in quello che passerà alla storia come il primo lungometraggio sonoro di sempre, Il cantante di jazz, l'attore Al Jolson impersona un ragazzo bianco che si dipinge la faccia di nero per poter diventare jazzista. Anche celebri stelle di Hollwood come Bing Crosby e Judy Garland hanno recitato in blackface, senza dimenticare Totò, “ambasciatore del Catonga” in Totòtruffa ’62. Negli ultimi anni il blackface è stato completamente bandito negli Stati Uniti, mentre in Europa sono ormai numerose le controversie sull’argomento.