Che la partita che ha dato inizio alla corsa della Roma in Champions League sarebbe stata complicata e ricca di insidie, lo si sapeva. L'Atletico Madrid è una squadra che ormai da anni dà fastidio al Real Madrid e al Barcellona, e fin dall'arrivo in panchina di Diego Pablo Simeone - personaggio poco gradito alla tifoseria giallorossa per i suoi trascorsi laziali - ha impostato il proprio credo calcistico sulla base della grinta, della corsa e del pressing esasperato nella metà campo avversaria.

Ma a dire il vero, i 90 minuti visti ieri sera all'Olimpico hanno dato ancora una volta prova di una Roma in difficoltà sul piano del gioco, quasi incapace di rendersi pericolosa negli ultimi 20 metri avversari. E i problemi non potevano che aumentare al cospetto di una formazione tra le più compatte in assoluto in ambito europeo, tanto che da qualche anno si parla di "Cholismo" per esprimere il credo calcistico del tecnico argentino. Ne è venuto fuori uno 0-0 che, di fatto, non accontenta né scontenta le due squadre: da una parte i giallorossi hanno schivato una discreta pallottola, mentre i colchoneros hanno ottenuto un punto in trasferta che fa sempre morale in un girone di Champions.

Tuttavia, in casa romanista non si può non evidenziare il fatto che la sconfitta sia stata evitata solo per via della serata di grazia di Alisson. Il portiere brasiliano, sul quale aleggia fin dall'arrivo nella Capitale una certa nube di scetticismo e di non totale fiducia da parte dell'ambiente, ha risposto nella sua prima presenza assoluta in Champions League con una prestazione da campione. Alla fine della sfida, l'estremo difensore della Roma è stato il migliore nel suo ruolo tra i sedici portieri che sono scesi in campo nella prima trance della prima giornata della fase a gironi, essendo stato quello che ha effettuato più parate.

Ben nove gli interventi del numero 1 a disposizione di Eusebio Di Francesco, alcuni dei quali a dir poco decisivi per evitare una sconfitta che, stando a quanto si è visto sul campo, non sarebbe stata affatto immeritata, considerando la mole di gioco e di palle gol create dall'Atletico Madrid.

Griezmann, Vietto, Saul: tutti loro sono incappati nei guantoni di un Alisson che, di fatto, ha trovato la via del riscatto in una serata difficile per la sua squadra.

E se il portiere sudamericano ha vissuto una serata particolarmente felice, non si può dire altrettanto per il resto della squadra scesa in campo. La linea difensiva, tutto sommato, ha tenuto, anche se c'è stata un po' di sofferenza sulle corsie laterali, in particolare nel primo tempo. La scelta di Di Francesco di affidarsi nel secondo tempo alla possanza fisica di Fazio, che con il suo inserimento ha stretto ulteriormente le maglie nella retroguardia della Roma, ha dato i suoi frutti e ha ridotto i pericoli corsi dalla formazione capitolina contro un avversario che si è presentato con un attacco molto mobile e pericoloso (Torres in panchina per 90 minuti è l'indicazione sul modo in cui Simeone ha impostato la gara).

In mezzo al campo si è salvato il solo - nonché solito - Nainggolan, autore della sua proverbiale prova fatta di corsa, di grinta e di cattiveria agonistica, che lo ha reso di fatto l'unico sulla soglia della sufficienza al triplice fischio finale.

Male, infine, l'attacco. E lo si è visto soprattutto in una fase della gara - nel corso del secondo tempo - in cui persino Perotti ha deciso che forse era meglio fare tutto da solo, sfiorando anche la possibilità di ottenere un calcio di rigore che alla fine non è stato fischiato (il fallo probabilmente c'era, ma in ogni caso è stato commesso da Juanfran fuori area). L'argentino è stato, di fatto, l'unico motore del reparto offensivo schierato da Di Francesco, ma difficilmente da soli si vincono le partite, specialmente al cospetto di una squadra molto compatta e organizzata.

Male soprattutto Defrel, il quale continua a dimostrare di essere probabilmente non adeguato al contesto, o più semplicemente schierato in un ruolo non suo che ha bisogno di caratteristiche diverse da quelle dell'ex Sassuolo. E anche per i tifosi della Roma, passare da un fulmine di guerra come Salah alla punta francese, è un colpo per gli occhi oltre che per il cuore. Infine Dzeko: il bosniaco ha cercato di metterci il suo proverbiale carisma, ma se un centravanti è costretto a giocare spalle alla porta e a 40 metri di distanza da Oblak, difficilmente può fare qualcosa. Per fortuna della Roma, c'è ancora il campionato in cui cercare di fare qualcosa di buono.