Il tema della responsabilità del medico, spesso legato a casi di malsanità è sotto questo profilo oggetto di molte attenzioni da parte della magistratura. Un dibattito giurisprudenziale assai interessante è infatti ruotato intorno all’ipotesi in cui alla produzione del danno abbia concorso sia la condotta del medico (fatto umano), sia cause naturali, come patologie pregresse del paziente.
Ci si è chiesti quindi se la patologia preesistente potesse o meno spezzare il nesso causale fra condotta del medico e l’evento dannoso. Inizialmente la magistratura ha di fatto circoscritto l’area della responsabilità medica qualora emergessero delle pregresse condizioni di salute del paziente stesso, riducendo quindi in via equitativa l’ammontare del risarcimento. Successivamente invece c’è stato un cambio di rotta e la giurisprudenza ha riconosciuto che l’evento dannoso quale una invalidità permanente può essere riconducibile anche alla condotta del medico oltre che alla patologia neonatale.
La Suprema Corte con una recente sentenza, la n.3893/16 è tornata a domandarsi se il danno causato dalla condotta del sanitario da ipossia al feto durante il parto, possa essere eliminato o ridotto a causa di una pregressa patologia invalidante del paziente.
Quando si configura la responsabilità del medico?
La vicenda giudiziaria da cui trae origine la sentenza ha avuto come protagonista un minore che per via della negligente condotta di un medico, nel corso delle operazioni di parto aveva subito un danno neurologico da grave asfissia. Ne conseguiva una permanente e totale invalidità (100%). I genitori del minore hanno quindi deciso di proporre ricorso per Cassazione dopo che la Corte d’Appello aveva ridotto del 50% l'ammontare liquidato dal giudice di I^ grado a titolo di danno patrimoniale, proprio a causa della congenita patologia cui era affetto il feto.
I giudici dell’Appello infatti avevano ritenuto che l’invalidità permanente del 100% era da ricondurre sia alla non corretta gestione del travaglio sia a fattori naturali quali la sindrome di Down. Essi dunque dopo aver ravvisato un concorso di cause (umane e naturali) hanno separato dal 100% di invalidità permanente la quota relativa alla concausa naturale. La Corte di Cassazione invece ha ribaltato il giudizio di II grado, accogliendo il ricorso dei genitori del minore. Gli Ermellini hanno ritenuto infatti che la condotta colposa del medico avesse assunto rilievo di causa eccezionale ed atipica del danno a prescindere dalla presenza della causa originaria (sindrome di Down).
La Cassazione conferma l’orientamento maggioritario
Secondo i giudici di Piazza Cavour infatti ogni qualvolta che il medico fornisce con la propria condotta un contributo causale anche molto ridotto alla produzione del danno, il quale è dovuto per il resto al concorso di cause naturali, egli dovrà comunque risponderne per intero. E ciò perché la propria condotta colposa costituisce un antecedente causale autonomo dell'evento dannoso. I giudici di legittimità inoltre hanno ritenuto che nel caso di specie la sindrome di Down non legata appunto alla condotta colposa del sanitario, non ha reciso il nesso di causalità tra la condotta illecita del medico ed il danno, ma ha inciso solo sulla misura del risarcimento. In questo senso le pregresse condizioni di salute del paziente, e più in generale il concorso di concause naturali alla produzione del danno devono infatti essere considerate solo ai fini della liquidazione del danno in via equitativa ai sensi dell’articolo 1226 cod.civ.
Tali cause naturali più precisamente assumono rilievo nella selezione di tutte le conseguenze provocate dall’errore medico che siano giuridicamente risarcibili. In conclusione quindi la Cassazione ha rinviato la sentenza in Corte d'Appello che dovrà procedere ad un nuovo esame della vicenda, alla luce dei principi sopaesposti. Per altre info di diritto potete premere il tasto segui accanto al mio nome.