Un esercizio di democrazia diretta che si trasforma in un motivo di sospetto sociale e riporta a galla conflitti etnici mai sopiti. Per ora le vittime di questo strano meccanismo che governa le elezioni in Kenya sono 24, fa sapere la Commissione Nazionale per i diritti umani, tra le quali un bambino di 10 anni colpito da una pallottola vagante in un distretto della capitale Nairobi.

Le protesta dell'opposizione guidata dal candidato sconfitto

Gli scontri sono iniziati martedì - giorno delle elezioni - e si sono inaspriti ieri quando la Commissione elettorale ha dichiarato vincitore il presidente uscente Uhuru Kenyatta con il 54,3% delle preferenze, mentre lo sfidante Raila Odinga si è fermato al 44,7%.

Il superamento della soglia del 50% permette a Kenyatta di evitare il secondo turno. Lo sconfitto Odinga è stato il primo a contestare il conteggio, dichiarando che il sistema di voto elettronico del paese era stato compromesso. Odinga, già primo ministro del Kenya, aveva rigettato anche l'esito del voto nel 2013. I suoi sostenitori lo seguono: gridano alla truffa e si riversano nelle strade, dove inizia una battaglia con le forze di sicurezza continuata per gran parte della notte.

Una storia che si ripete: nel 2007 più di 1000 morti

Le elezioni in Kenya significano sangue e morti ammazzati. E questa volta è andata meglio di altre.

Nel 2007 la coalizione di opposizione contestò il risultato elettorale dopo che il presidente uscente Mwai Kibaki era stato dichiarato vincitore, scatenando una violenza etnica che fece 1200 vittime e 600.000 rifugiati. Da quando nel 1992 è stato instaurato un sistema democratico multipartitico, nel paese africano si sono tenute sei elezioni presidenziali. In un solo caso - nel 2002 - lo schieramento perdente ha accettato il conteggio dei voti. Ma perché in Kenya i risultato delle urne sono così aspramente contestati?

Manca la trasparenza e chi finanzia i politici non vuole perdere

Il processo di voto è spesso caratterizzato da problemi tecnici che negli anni hanno contribuito a creare una diffusa sensazione di poca trasparenza.

Questo rende le elezioni tese fin dalle prime ore del voto. Il governo ha investito molto in un nuovo sistema di voto elettronico per questa tornata, ma non sembra essere riuscito a sconfiggere il senso di sfiducia dei cittadini.

Nessun presidente uscente ha mai perso un'elezione in Kenya. Il presidente è eletto per 5 anni e può coprire due mandati soltanto. Una critica da sempre mossa dalle opposizioni al partito di governo è quella di usare soldi statali per finanziare le campagne elettorali, che in Kenya sono molto costose e sono un altro motivo di tensione. I donatori privati spendono molto per spingere il loro candidato alla presidenza e gli stessi politici tirano fuori soldi dalle loro tasche per giocarsi la propria chance.

Un forte elemento di pressione che si palesa al momento del risultato finale: se perdi, hai perso tanto. E perdere speso è per pochissimo: le elezioni in Kenya sono sempre molto ravvicinate e chi vince lo fa spesso con un margine ridottissimo. Nel 2013 il presidente Uhuru Kenyatta portò a casa il 50,07 % delle preferenze, evitando per un soffio il secondo turno. In quell'occasione Odinga si fermò al 43%.