Nella serata di ieri le forze di sicurezza egiziane hanno fatto irruzione nella sede del Cairo dell'associazione ECRF (Commissione egiziana per i diritti umani e le libertà), attiva da tempo in egitto a sostegno dei numerosi casi di arresti, "desaparecidos" e vittime prodotti dal regime egiziano, collaborando anche con la famiglia di Giulio Regeni.

L'irruzione

Accompagnati da una donna dichiaratasi membro del ministero degli investimenti ed in possesso di un mandato di perquisizione, gli agenti hanno fatto irruzione nella sede dell'associazione.

La stessa donna ha affermato successivamente che la prossima settimana verranno posti i sigilli agli uffici, proprio in concomitanza della visita al Cairo, prevista per il 3 ottobre, di Paola Regeni, mamma del ricercatore friulano scomparso e ritrovato morto con evidenti segni di tortura sulla strada fra Alessandria e il Cairo.

Lo sconcerto

Il presidente dell'associazione, Ahmed Abdullah, ha espresso tutta la frustrazione per l'accaduto e per le continue intimidazioni a cui l'associazione ed i suoi componenti sono sottoposti. Ai primi di settembre il sito dell'associazione era stato oscurato. Domenica 10 l'avvocato Ibrahim Metwally era stato fermato all'aeroporto, mentre si stava imbarcando verso Ginevra, dove era stato invitato a parlare dell'ultimo report dell'ECRF sullo stato dei diritti civili in Egitto dalle Nazioni Unite.

La notizia del suo arresto è stata data dalle fonti ufficiali solo tre giorni dopo, insieme a quella della detenzione preventiva di 15 giorni.

Poche ore fa è arrivata la notizia del prolungamento di altri 15 giorni della detenzione di Ibrahim Metwally (e si comincia a parlare di violenze e torture subite in carcere).

E l'Italia?

Il tanto criticato invio dell'ambasciatore Cantini al Cairo (con investigatore al seguito) non sembra aver sortito l'effetto auspicato dal governo e dal ministro dell'interno Angelino Alfano, anzi. L'arrivo del nostro ambasciatore sembra abbia innescato nelle autorità egiziane una recrudescenza dell'attività soppressiva verso i diritti umani in genere, ma con particolare attenzione al caso di Giulio Regeni.

L'accanimento del regime di Al Sisi contro l'associazione ed i suoi rappresentanti dimostra inequivocabilmente il desiderio di silenziare ogni attività che, in qualche modo, possa portare alla verità sull'orribile fine del nostro giovane ricercatore ed al desiderio dei suoi familiari di conoscere i mandanti e gli esecutori. Auguriamo di tutto cuore all'ambasciatore Cantini ed ai suoi collaboratori un buon lavoro nella sua diplomazia ma, vista la determinazione del regime, riteniamo difficile che quella sia la strada migliore per giungere alla verità per Giulio Regeni ed al riconoscimento dei diritti civili in Egitto.