L'Esistenzialismo

Il filosofo algerino albert camus, nel suo saggio 'Il mito di Sisifo', inizia il suo scritto dicendo che: “C'è un unico serio problema che la filosofia deve porsi e questo è il suicidio. Giudicare se la vita sia o meno degna di essere vissuta è cogliere la vera essenza della filosofia”. Il filosofo del novecento asserisce di aver visto durante la sua vita “molte persone morire perchè non davano valore alla propria esistenza, mentre altri, paradossalmente sono stati uccidi per un ideale o un'illusione che ha dato loro un significato alla loro vita”. La questione, secondo Camus è un fatto urgente al quale gli intellettuali devono trovare delle risposte.

Ma cos'è esattamente il suicidio? E quali sono le sue cause?

Secondo il filosofo esistenzialista il suicidio corrisponde al confessare.

È il confessare che la vita è troppo da sostenere per te o che semplicemente che non la capisci. […]. È il semplice affermare che 'non ne vale la pena'”. Questo sentimento che sembra totalmente innaturale, che mette in dubbio il più semplice istinto di sopravvivenza, deriva dal fatto che l'universo non è fatto secondo le aspettative dell'uomo, è quindi l'assurdità che si rivela, può portare alcuni individui a commettere l'atto estremo. L'uomo avrebbe, in modo innato, la volontà di vivere in un luogo nel quale riesca a trovare un senso, una spiegazione a tutto ciò che lo circonda. Un mondo che può essere spiegato, anche se con delle motivazioni negative è pur sempre un mondo familiare all'individuo.

Nel momento in cui però, l'universo viene svelato senza le luci delle illusioni in cui si credeva, l'uomo si sente un alieno, un estraneo. Il suo esilio è senza rimedio dal momento che egli è deprivato dal ricordo di una casa ormai persa e di una terra promessa che non esiste. È proprio questo il sentimento dell'assurdo: la mancanza di unità tra il singolo e la propria vita, tra l'attore e la sua scenografia.

La constatazione che l'universo sia assurdo, e quindi non abbia un significato o una casualità intellegibili, per Camus è solo il punto di partenza dell'esistenza di un uomo. Presa consapevolezza dello scontro fra il proprio ideale di unità, la volontà che tutto abbia un senso e la realtà, il soggetto si trova ad essere in una situazione analoga a quella di Sisifo, personaggio della mitologia greca.

Sisifo, per tradizione, è un semidio che ha ricevuto la punizione di dover spingere un masso enorme fin sopra la cima di una collina. Come in una sorta di contrappasso dantesco, la pietra, una volta portata fatica sull'apice del monte, rotola nella direzione opposta per tornare in pianura. Sisifo è stato costretto da Zeus a questa pena eterna e frustrante. Il filosofo esistenzialista suggerisce che la condizione umana è molto simile a quella del mito, in quanto ognuno è vincolato ad un'esistenza terrena che richiede continua fatica, una ripetersi di energia sprecata per guidare un masso verso un punto di arrivo che non esiste. È proprio in questo modo che si manifesta l'assurdo dell'universo, nel fatto che il singolo non può avere obbiettivi, e se ne ha essi sono delle illusioni alle quali egli non arriverà mai.

Ebbene, la visione del filosofo non è totalmente negativa. Egli incita ad immaginare Sisifo con un sorriso stampato in volto, mentre si porta avanti il proprio doloroso compito, ma nel mentre cerca di godersi le sensazioni e le percezioni che fanno parte dell'essenza umana. Abbracciando il concetto di assurdo vivremo con la consapevolezza che non si può raggiungere un ideale posto, ma questo non nega la possibilità di godere dei sentimenti, delle soddisfazioni raggiungibili, del piacere puro. Camus è colui che ha asserito di preferire giocare ad una partita di pallone in compagnia dei suoi amici piuttosto che parlare di filosofia. Bisogna approfittare di tutto ciò che ci porta soddisfazione e benessere, senza illusioni ma consapevoli della parte decisionale che ci rimane in questo mondo assurdo, ovvero come reagire alle contingenze.

“La vita è un atto di ribellione senza rivoluzione”, conclude il filosofo nel saggio.

La risposta dello stoicismo, Epitetto

Secondo la corrente filosofica dello stoicismo, nata in Grecia nel 300 a.C., il suicidio è eticamente accettabile, ma solo in certe circostanze. Epitetto, uno dei maggiori esponenti della scuola di pensiero, usa una famosa analogia per definire quanto il soggetto può essere giustificato se commette questo atto estremo. Immaginando una casa in fiamme piena di fumo, egli dimostra con un esempio semplice il ragionamento che dovrebbe avvenire nella mente di una persona che sta meditando sul suicidio. “Se il fumo non è soffocante, io rimarrò chiuso nella casa; se invece si rivela troppo soffocante, me ne andrò”, scrive il filosofo.

La scelta è quindi piena responsabilità del libero arbitrio di ognuno, e la considerazione se la situazione vissuta sia sostenibile o meno è soggettiva e non giudicare. Ognuno ha questa responsabilità, ma se si decide di rimanere dentro la casa si accetta conseguentemente anche il dovere di rendere la propria vita degna di essere vissuta.

Egli rimarca con molta forza, il fatto che ciò che distingue l'uomo dall'animale è la Proairesi, ovvero la capacità razionale di distinguere, classificare e giudicare ciò che ci circonda. La Proairesi si manifesta in ogni momento in cui il soggetto prova passione o repulsione verso un ente esterno o quando decide di assentire o dissentire circa una data situazione. Per Epitetto tutto ciò che implica riflettere sulle impressioni e sulle percezioni fa parte della Proairesi.

Essa è difatti la vera essenza dell'essere umani. L'abilità di usare il pensiero logicamente per valutare una particolare contingenza impone al soggetto anche la responsabilità di dover discernere ciò che dipende dalla propria volontà, dai propri atti e dalle proprie reazioni da ciò che è esterno ed eventuale. L'uomo stoico deve quindi capire ciò che è in suo potere e ciò che non lo è. Solo in questo modo egli potrà uscire dal conflitto nel quale si trova immerso, ovvero dalla tendenza di voler avere sotto controllo totalmente situazioni sulle quali in realtà non può agire. Il conflitto interiore dell'individuo, quand'egli scopre di non avere interamente potere sulla propria vita, deve essere risolto, secondo il pensiero stoico, abbracciando la disarmonia e la casualità del mondo.

Solo dopo che il soggetto avrà identificato una divisione tra ciò che può correggere e migliorare da ciò che è l'assurdo e la casualità della vita, egli potrà essere pienamente consapevole dei propri poteri e delle proprie azioni, senza sentirsi impotente o in balia degli eventi. È difatti fondamentale questo passaggio, che evita all'uomo di soffrire.

Secondo Epitetto, le due principali situazioni che causano malessere nell'uomo sono appunto legati al non accettare la propria parzialità come uomini. Un individuo può ritrovarsi in una condizione di dolore o in quanto egli è convinto di avere pieno potere nel dirigere il proprio destino verso un ideale – al quale egli non arriverà mai, in quanto c'è da considerarsi anche la casistica esterna – oppure, paradossalmente, l'uomo può sentirsi sopraffatto dagli eventi che non può controllare, in quanto egli non ha capito che ha un margine di miglioramento della propria condizione.

Il punto fondamentale che sottolinea la corrente di pensiero stoico è quindi quella di capire, e di sfruttare al meglio, le proprie capacità per materializzare quel margine di miglioramento che deriva solo dalla reazione e dall'apporto umano. Il singolo non è in totale balia degli eventi, come non è padrone di un destino che non gli appartiene. La consapevolezza di ciò è il primo passo per raggiungere una situazione di stabilità e di equilibrio interiore che porta lucidamente a pensare a come poter limare e nobilitare le disgrazie quotidiane che possono avvenire quotidianamente. In questo modo non passivo, lo stoico non subisce, ma accetta, e dirige le proprie energie in modo positivo verso ciò su cui effettivamente ha potere.

-Cab