Derek Chauvin è stato dichiarato colpevole su tutti i capi d'accusa per i quali era processato: l'ex agente era imputato per la morte di George Floyd avvenuta, per soffocamento durante l'arresto, il 20 maggio del 2020 a Minneapolis, in Minnesota.
La decisione della giuria è arrivata nella giornata di martedì 20 aprile nel pomeriggio, al termine di un processo di tre settimane che ha tenuto alle stelle l'attenzione dei media e dell'opinione pubblica mondiale.
Questa, infatti, nell'ultimo anno si è fortemente mobilitata a sostegno della famiglia di Floyd e della comunità afroamericana, che continua ad essere vittima della violenza della polizia, come dimostrato ancora una volta appena prima del rilascio della sentenza contro Chauvin, con la notizia della sedicenne di colore uccisa Ma’Khia Bryant.
Giustizia per George Floyd
Il processo per l'omicidio di George Floyd era iniziato il 29 marzo e sono stati ascoltati 46 testimoni, tra cui una bambina; al vaglio c'era il video ormai ben noto di 9 minuti e 29 secondi che ripercorre gli ultimi istanti di vita di Floyd, durante il quale Chauvin preme il ginocchio sul suo collo impedendogli di respirare.
Iconiche infatti, durante le numerose proteste avutesi lo scorso anno e che hanno dato vita al movimento Black Lives Matter, sono state le parole pronunciate da George Floyd prima di perdere conoscenza: "I can't breath", "Non posso respirare".
L'ex agente di Minneapolis è stato dichiarato colpevole per tutti e tre i capi d'accusa riguardanti l'omicidio; il giudice che si è occupato del processo renderà nota la pena tra due mesi, il cui massimo è stabilito a 40 anni di carcere, ma nel mentre ha dato disposizioni d'arresto per il 42enne che è stato subito ammanettato alla fine della sentenza.
L'avvocato di Chauvin, Eric J. Nelson, in un'arringa finale di circa tre ore ha tentato ancora una volta di contestare l'autopsia condotta sul corpo di Floyd, appellandosi all'uso di sostanze stupefacenti che avrebbero contribuito alla limitata funzionalità dei polmoni della vittima, e ha cercato di invalidare l'uso del video come prova dichiarando che a quei 9 minuti ne precedevano altri 16 in cui Floyd avrebbe opposto resistenza, costringendo Chauvin ad intervenire in maniera ragionevole.
Il procuratore Steve Schleicher, dell'accusa, ha invece ribadito che Floyd non rappresentava una minaccia, sottolineando la mancanza di compassione e di aiuto da parte della polizia anche dopo che la vittima avesse perso conoscenza e non si riuscisse a sentirne il polso. Grazie a dei testimoni al banco, Schleicher ha invalidato le ipotesi della difesa sulla corretta procedura eseguita da parte di Chauvin.
La giuria alla fine del processo ha ritenuto l'ex poliziotto colpevole, dando finalmente un po' di pace e giustizia alla famiglia di George Floyd. Dopo la pena che arriverà tra otto settimane, ad agosto inizierà anche il processo per gli altri agenti incriminati per la morte di Floyd, quali Thomas Lane, J.
Alexander Kueng e Tou Thao.
Questi ultimi sono stati accusati di aver facilitato l’omicidio, essendo stati i primi due di aiuto a Chauvin nel tenere bloccato Floyd a terra, mentre Thao restava ad assistere senza intervenire in aiuto della vittima.
Ad esprimere la felicità per questo verdetto non solo amici e familiari di Floyd e l'opinione pubblica tutta, ma anche figure famose o istituzionali partendo dal campione di Formula Uno, Lewis Hamilton, rappresentante del movimento BLM, che sottolinea la portata storica dell'accaduto scrivendo su Instagram "Questa è la prima volta che un agente di polizia bianco è stato condannato per l’omicidio di un uomo di colore in Minnesota".
Ad indicare ancor di più il peso storico di questa condanna a carico di Chauvin, è intervenuto il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden: il suo è un appello ad ascoltare chi denuncia la violenza della polizia statunitense, a non voltare le spalle ad altri George Floyd.
Le proteste non si fermano per Ma’Khia
L'accorato invito di Biden è più necessario che mai, poiché non bastano la sentenza e la giustizia ottenute per George Floyd a rompere la barriera di violenza degli agenti americani ai danni degli afroamericani, una barriera costruita da anni di razzismo e soprusi in un sistema sbagliato che non fa sentire sicuri e liberi tutti i suoi cittadini, e che impiega troppo tempo a fare giustizia, come fa presente il movimento Black Lives Matter: "330 giorni per confermare ciò che già sapevamo".
La prova di questo sistema malfunzionante è stata data appena 20 minuti prima della sentenza per il processo di George Floyd, mentre il mondo era in attesa.
In Ohio, un'agente della polizia di Columbus ha aperto il fuoco con quattro colpi di pistola contro una ragazzina di appena 16 anni, Ma’Khia Bryant, uccidendola.
Da quanto appreso dal Columbus Dispatch, sembra che la polizia avesse risposto ad una chiamata per tentata rapina per opera di una ragazza, all'arrivo infatti gli agenti hanno trovato la ragazza armata di un coltello brandito verso altre due persone. Mentre si avventava verso una di queste, l'adolescente è stata colpita da quattro colpi di pistola, morendo poi in ospedale poco dopo.
Dalla testimonianza della zia, Hazel Bryant, sembra fosse stata la stessa Ma'Khia a chiamare la polizia per denunciare un'irruzione e che avesse il coltello per legittima difesa. La stessa ha anche dichiarato che la polizia avesse intimato a sua nipote di lasciare il coltello, cosa che la giovane ragazza aveva fatto ma non è bastato per risparmiarsi la vita.
L'Ohio Bureau of Criminal Investigation ha attualmente aperto un'indagine sul caso dell'adolescente uccisa per cercare di far chiarezza sulla vicenda, esaminando anche i video a disposizione. L'agente è stato temporaneamente sospeso e per le strade americane sono già cominciate le proteste, ennesime, contro la violenza della polizia americana che non sembra subire arresto.