Art3Collective è un progetto partito a fine febbraio e operativo dal 19 aprile. Dietro ad Art3 ci sono circa venti ragazzi italiani di seconda generazione di famiglie straniere, impegnati a far sentire la propria voce proponendosi come esempio di rappresentanza per tutti quelli che non sono pienamente riconosciuti come tali.

Tra questi Fatima, nata in Marocco e residente in Italia da molti anni, e Martina, italo-serba, hanno risposto ad alcune domande per permettere di comprendere meglio questa iniziativa.

Conoscere e scoprire Art3

Cos’è Art3Collective?

Martina: "È un collettivo di ragazzi di seconda generazione che vivono in Italia e si definiscono italiani ma nati da uno o entrambi genitori non italiani. Possono essere nati in Italia o all’estero e venuti qui da piccoli, cercano di integrarsi o sono già integrati in questa cultura ma hanno meno riconoscimento rispetto a chi è nato e cresciuto in Italia da genitori italiani, con nome italiano e pelle bianca. Vogliamo dare più rappresentanza a queste persone, coinvolgendo anche altri ambiti come la comunità LGBTQ o figli di immigrati, si abbracciano tanti casi. Questo è Art3 e vogliamo inserisci soprattutto nell’intrattenimento, dare e fare informazione. Il nostro primo canale è quello di Instagram, che ci è sembrato più penetrante e utilizzato, però vorremmo inserisci anche nell’ambito televisivo".

Fatima: "Soprattutto inserirci in quelli che sono i media tradizionali, quindi in ambito giornalistico e in televisione, per una semplice considerazione: sui social c’è maggiore possibilità di accedere, chiunque può esprimersi. Entrare nel mondo del giornalismo o della televisione è più complicato e l’idea di Art3 è di cercare di avere una rappresentanza effettiva, essere noi a parlare di noi stessi e non più sentire altri che non conoscono la nostra posizione parlare di noi come se lo sapessero.

Questa è una cosa fondamentale per il collettivo".

M: "Tra l’altro media come televisione e giornali sono unilaterali, l’informazione va da chi crea il contenuto verso lo spettatore e la possibilità di riscontro immediato è difficile. Nei social invece ci può essere un botta e risposta anche tramite i commenti e i messaggi, e invece noi vogliamo inserirci in un canale in cui possiamo dare la nostra rappresentanza senza che ci sia un certo programma televisivo in cui vengano dette cose a cui noi, a posteriori, dobbiamo rispondere su un altro canale come i social, perché lì non è più una comunicazione diretta.

Noi vorremmo inserirci in questo ambito proprio per dare la nostra voce e parlare di noi in prima persona".

- Come è nato questo progetto, da dove è partito fattivamente lo spunto per crearlo?

F: "Il progetto nasce da una stanza di ClubHouse di cui facevano parte i fondatori del collettivo e si parlava di come in Italia noi ragazzi di seconda generazione non abbiamo rappresentanza a livello mediatico. Si facevano esempi come “Hai mai visto una persona nera in tv? Sì, Balotelli.” E siamo in effetti rappresentati solo da sportivi. Ti si presenta poi il caso di un avvocato nero a cui viene chiesto “Ma davvero sei un avvocato?”. Si sono resi conto di come non avessimo punti di riferimento e quindi si è voluto creare questo collettivo a cui pian piano siamo subentrati noi, diversi ragazzi.

Una cosa da sottolineare è che Art3 non è una pagina Instagram, non è un ‘vogliamo raccontare’ ma è un ‘vogliamo rappresentare’, ‘vogliamo cambiare le cose realmente’, è questo secondo me che fa la differenza".

- Avete spiegato quello che Art3 vuole fare ma qual è l'obiettivo a lungo termine e quali sono i passaggi per raggiungerlo?

M: "Direi cambiare la prospettiva, cambiare il punto di vista di chi detiene il potere, concedere pari rappresentanza e uguaglianza anche nei trattamenti, indipendentemente dalla propria provenienza e dalla propria origine. Questo è il nostro primo obiettivo, quello a lungo termine".

F: Tra l’altro è il nostro manifesto, “Art3 è un movimento culturale, socio-politico e apartitico che mira a cambiare e inserire concretamente gli italiani - inteso come noi considerati non italiani - all’interno di una nuova prospettiva culturale, Politica e sociale, abbracciando il principio espresso dall’articolo 3 della Costituzione Italiana”, non a caso quindi Art3.

Abbiamo tanti obiettivi ma questa è la meta finale, entrare in tutti i media possibile, far capire che ci siamo pure noi, esistiamo e ora siamo noi a parlare della nostra storia, ve la raccontiamo noi".

- Nonostante abbiate iniziato da poco su Instagram, avete già una grande cassa di risonanza. Da Bianca Balti all’art creative di Valentino stanno in tanti abbracciando la causa. Come vi fa sentire questo e qual è la prossima mossa?

F: "Vedere nomi importanti appoggiarci in quello che stiamo facendo fa capire che effettivamente è una buona causa, abbiamo delle buonissime possibilità per poter cambiare le cose. Non puntiamo a far parlare gli altri perché siamo un collettivo composto da persone e personalità molto forti, competenti, con dietro un background culturale forte e siamo in grado di arrivare a certi traguardi anche senza un determinato appoggio.

Ovviamente loro hanno aumentato la nostra visibilità e in pochissimo tempo siamo riusciti ad arrivare ad un gran numero di followers. Quello che pensiamo di fare più avanti è continuare su questa stessa strada con diplomazia, ma allo stesso tempo portare avanti i nostri obiettivi in modo deciso".

M: "Avere persone famose o con un certo seguito che ci supportano ci rende molto felici, a maggior ragione in questa fase di lancio è stato molto utile il loro aiuto e non smetteremo mai di ringraziarli. È bello che persone già arrivate ad un certo livello abbiano a cuore determinate cause, come la nostra, e questo ci fa piacere. Vedere chi è già in alto non abbandonare certi principi e valori per la loro fama è molto positivo.

Sicuramente ci stanno dando una grossa mano ma comunque noi vogliamo puntare sulle nostre competenze, tutto il lavoro che stiamo facendo è frutto nostro, partendo dalla scrittura, la grafica, le parole, i pensieri, le traduzioni, è tutta mano nostra, di persone non già inserite in un contesto ampio di celebrità. Partiamo dal basso perché è il basso che vogliamo rappresentare".

Esiste davvero l'italianità?

- Uno dei primi punti che avete toccato è l’italianità: cos’è per voi questo concetto e come possiamo davvero interiorizzarlo tutti, scevro da fattori discriminanti?

F: "È un format su cui stiamo lavorando e facciamo ogni giorno le 3 di notte per sviscerarlo, è il più tosto perché è un argomento delicato, devi prestare attenzione al minimo dettaglio, ad ogni parola che usi, perché poi arriveranno quelli che diranno che questa cosa non è esattamente così o hai sbagliato questo termine piuttosto che questo e tu stai rappresentando, stai informando sull’italianità, su qualcosa che non dovrebbe risultare un paradosso.

Quindi è tanto complicato, studiato e analizzato da parte nostra.

Sul che cos’è, a nome del collettivo stiamo dando su Instagram le idee principali e finali. Io ti rispondo che l’italianità è un senso di appartenenza, essere nati o cresciuti in un paese di cui abbracci cultura, tradizione, presente, passato, lo fai tuo e lo aggiungi al tuo essere, diventa parte fondamentale della tua persona. L’italianità per me è senso di appartenenza a tutti gli effetti. La domanda è: ti senti italiana Fatima? Sì. Hai la cittadinanza italiana? No. È un paradosso, ma è così. Non a caso il format dell’italianità è la base di quello che sarà il nostro tema principale, il concetto dello ius soli che vogliamo portare avanti, rendere ancora più mediatico partendo dal dare concetti fondamentali che alle persone servono".

M: "Io penso che il concetto di italianità sia molto individuale nonostante tante persone invece lo vedano come un identikit comune. Il nostro format abbiamo deciso di chiamarlo “Esiste davvero l’italianità?”, non per mettere in dubbio la sua esistenza ma per far ragionare le persone su cosa per loro è. Non ci poniamo da squadristi dicendo che non esistono l‘italianità e l’italiano vero, però cerchiamo di dare più prospettive e sfaccettature di questa realtà che sta diventando sempre più complessa, e molti paesi lo hanno già capito. In Italia questo processo non solo sta andando lento ma sembra andare indietro a causa di diverse istanze che sappiamo, c’è sempre più questo senso di proteggere la patria, proteggersi da quello che viene fuori ed è controproducente.

Noi non vogliamo negare l’esistenza di una italianità, qualunque sia per ogni individuo, ma vogliamo far capire che può essere condita di altre caratteristiche, anche grazie alle provenienze di ognuno di noi.

Io mi sento italiana ma riconosco di avere altri valori più o meno forti, perché sono nata in Italia, mio padre è italiano, ho solo un genitore non italiano quindi la mia prima nazionalità è italiana, ma mi rendo conto di avere diverse influenze da fuori e questo penso sia un arricchimento della mia persona e possa solamente portare qualcosa in più, a me stessa e a chi mi conosce.

Il problema secondo me in Italia è che non venga dato spazio e riconoscimento non solo a chi di seconda generazione, ma in generale ai giovani, che non ci sia rappresentanza dei giovani ci rende stagnanti, non ci fa guardare oltre quel muretto che ci fa capire che possono esistere anche altre cose.

Essere italiani vuol dire tutto e niente, anche per la stessa storia dell’Italia: siamo un paese nato 160 anni fa, potremmo dire l’altro ieri, siamo un mix di culture, l’Italia stessa lo è, quindi al parlare nel 2021 di italiano vero io rispondo che non è mai esistito, in modo provocatorio".

F: "Io spero in un’Italia che veda l’italianità come qualcosa di forte perché credo molto nell’identità nazionale, intesa come singoli che ne fanno parte e cosa possono portare alla nazione. La mia provocazione è: ci sarà un motivo se la maggior parte dei giovani vanno via, se giovani stranieri cresciuti qui vanno in un altro stato e lì si riconoscono subito come cittadini ma mai come cittadini italiani in un paese in cui sono nati o cresciuti.

È un dispiacere, è una cosa che non voglio per l’Italia perché ne sono follemente innamorata e quindi voglio far qualcosa per contribuire affinché ognuno possa migliorare nel costruire l’immagine e l’identità di questa nazione".

- Bisogna vedere l’italianità come un sentimento e non un insieme di caratteristiche.

M: "Esatto, un sentimento che può mutare e arricchirsi nel tempo e non deve avere per forza radici lontane nel passato ma che guardi al futuro".

La narrazione mediatica

- Come espresso nel vostro manifesto, c’è bisogno di cambiare la narrazione sociale che ogni giorno i media propongono. Voi siete parte attiva di questo cambiamento, c’è stato però un particolare episodio mediatico che vi ha fatto avvertire la necessità di questa trasformazione?

M: "Sì, per me il caso di Pio e Amedeo. È stato veramente preoccupante perché loro non solo hanno detto cose con le quali non sono d’accordo, ma hanno preso questo momento per cavalcare l’onda, innalzare il successo e prendere quella parte di italiani che vuole rimanere nelle loro idea per tirare in basso quello che potrebbe andare in alto. È stato controproducente e sono convinta che non l’abbiano fatto per dare rappresentanza a quella categoria, come invece noi vorremmo fare, ma per un mero interesse personale, per accrescere la popolarità. Hanno capito quale tasto premere e hanno avuto grande risonanza, e questo l’ho trovato molto problematico".

F: "È l’ennesimo caso in cui si capisce che in Italia c’è forte ignoranza condivisa che per anni è stata giustificata ma ora non può più essere fatto. Un conto è parlare con un ottantenne cresciuto conoscendo solo ed esclusivamente una certa realtà: non posso e non voglio aspettarmi che sia la persona mentalmente più aperta perché gli sto chiedendo uno sforzo troppo grande, quindi questa ignoranza la posso ancora giustificare. Ma non quella di una generazione diversa, che può informarsi e ha tutti i mezzi per farlo. Siamo una generazione che ha mille modi per poter capire, confrontarsi, conoscere e se non lo si fa è perché non si vuole fare e io non accetto più questa ignoranza, non la giustifico più e non sono più disposta ad accettare queste informazioni sbagliate.

Il caso di Pio e Amedeo è l’ennesima dimostrazione che siamo sempre più predisposti a questa voglia di mostrare ignoranza perché nei termini che usano, in ciò che dicono, manca il concetto storico, il significato delle cose, delle parole, e lì capisci che c’è un problema di fondo. Mi auguro che Art3, come tanti altri movimenti e la nostra generazione, faccia capire cosa è possibile o non è possibile dire, cosa è o non è concesso, cosa discrimina e cosa non discrimina perché un conto è parlare con il tuo amico, un conto è presentarti su una delle reti più diffuse in Italia e rivolgerti all’intera popolazione, certe cose non puoi dirle in tv. Quindi son d’accordo su Pio e Amedeo, ma per me ti dico non c’è stato un caso specifico ma diversi, anche dalla politica. Siamo una nazione ora come ora fondata sul populismo, sul dire la frase che più colpisce le persone, stiamo andando sempre più sulla strada dell’ignoranza ed è la cosa che mi fa paura. Se poi un domani qualcuno mi dice che utilizzare questo termine è concesso capisco il perché lo dice, alle sue spalle ha persone che possono dirlo, lo fanno e giustificano".

M: "Poi su Pio e Amedeo non è stato solo il pronunciare certe parole in diretta nazionale, ci sono tante persone che pronunciano la n-word, la f-word che non giustifico, ma lo fanno parlando e lì c’è l’errore e va riconosciuto; l’aggravante è che è stato tutto condito dal fatto che ne abbiano addirittura incentivato l’uso, perché hanno da insegnare agli italiani cosa è giusto e cosa è sbagliato dire, privando tutte queste questioni della loro connotazione storica e dell’accezione negativa che hanno assunto per avvenimenti che ci sono stati, e le persone non lo sanno".

F: "Si sono sentiti legittimati a dire cosa offende o non offende una persona che fa parte di una minoranza. Spesso si collegano al non voler essere schiavi del politicamente corretto, all’essere comici, fare satira e non poter essere censurati. La censura nell’arte è una cosa che non condivido ma per essere artista ce ne vuole, per far satira ce ne vuole. La satira è intellettuale, mira a portare ad un livello superiore chi è stato discriminato, con tutto il rispetto Pio e Amedeo per arrivare a fare satire ce ne vuole di tempo, mettetevi lì e iniziate a studiare cos’è la satira poi magari riuscirete a farla, forse".

M: "Ma poi la satira nasce proprio come modo per prendere in giro i forti, la maggioranza e non la minoranza, non denigrare chi è già denigrato".

F: "Anche il caso di Michelle Hunziker con Striscia la Notizia, la settimana dopo propongono un esempio parallelo dicendo che la stessa sera era andato in onda una commedia italiana, e in questo film si fanno esempi su aggettivi e modi di dire rivolti alle comunità cinesi e queste cose nessuno le ha citate e prese in considerazione. Ma è normale, perché parliamo di un film che è diverso da un programma di informazione e intrattenimento, e nell’arte spesso queste parole e frasi vengono utilizzate come denuncia sociale, per far riflettere le persone. Dall’altra parte sei in un programma di intrattenimento e informazione, dove per anni hai pensato di fare satira, se ti stanno facendo capire che questa cosa non va più bene un motivo c’è, rivaluta il tuo concetto di satira perché così non si può continuare".

Ascoltare di più

- Soprattutto per chi non è “toccato in prima persona" ma vuole fare la sua parte, cosa si può fare per supportare il vostro progetto e qual è il vostro consiglio per informarsi di più e prendere parte ad una società ed una comunicazione più inclusiva?

M: "Noi siamo partiti come un collettivo formato al 100% da persone di seconda generazione, questo non esclude la collaborazione con persone nate e cresciute in Italia, 100% italiane - detto così con le pinze dopo tutto il discorso fatto prima- , perché è una causa che dovrebbe coinvolgere tutti, anche le persone a cui è rivolta, e noi vogliamo combattere le fazioni, il noi-loro, vogliamo smontare questo schema e sicuramente non vogliamo escludere nessuno dal poter collaborare in qualsiasi modo. Non c’è bisogno di fare grandi cose ma penso che ognuno nel proprio piccolo possa dare un contributo, anche nei comportamenti di tutti i giorni, partendo dal linguaggio, dal togliersi il pregiudizio, coinvolgere le persone e non escluderle in base a certe caratteristiche. Già avere questi valori sarebbe tanto.

Nel concreto, per Art3, man mano che cresciamo sicuramente avremo sempre di più a che fare con persone non “toccate” come hai detto tu personalmente da questa causa ma questo non esclude che possano essere interessate".

F: "Io consiglio di ascoltare chi fa parte di una minoranza e parlare di meno, non pensare di sapere ma ascoltare e mettersi in discussione, soprattutto mettere in discussione il proprio privilegio. Perché, secondo me il problema dell’Italia è che le persone non sanno di essere privilegiate, di avere una posizione sociale avvantaggiata rispetto ad altri, e non sto criticando il privilegio ma coloro che non sanno di averlo perché non saperlo implica non conoscere altre realtà al di fuori della propria, e non c’è cosa peggiore del non voler sapere. Devono essere disposti a conoscere, ascoltare, essere disposti al dialogo, mettere in discussione loro e la loro posizione, domandarsi “Ma le frasi che dico possono ferire qualcuno? Quello che sto facendo può ferire? Questa cosa può danneggiare qualcun altro?”, un continuo chiedersi, farsi domande, e questo implica uno sforzo immenso ma siamo tutti parte di una società che vogliamo migliorare e solo facendo così possiamo in qualche modo arrivare a questo obiettivo".