Decisamente influenzata dai molteplici programmi culinari di tendenza, quali Hell’s Kitchen e Masterchef, che da qualche anno a questa parte hanno congestionato i nostri palinsesti televisivi, viene partorita l’idea de Il sapore del successo, una commedia incentrata sulla ricerca del gusto definitivo e sull’ardente competitività tra chef pluristellati. Non a caso, questa fiammeggiante comedy-drama, nella versione originaria, è stata intitolata Burnt, ovvero, arso, bruciato, acceso, a sottolinearne la focosa vena agonistica e la spietata concorrenza nel business dell’alta ristorazione.
Alla regia figura John Wells, già cimentatosi in convulse commedie drammatiche, come nelle serie tv, Shameless e E.R. Il film, è nelle nostre sale dal 26 novembre.
Recensione de 'Il sapore del successo'
Più volte il cinema americano è inciampato nell’errore di servirsi del mondo della cucina e della gastronomia in generale, come pretesto per un romantico sviluppo delle trame. Basti pensare, a pellicole sentimentali come Sapori e Dissapori, con Catherine Zeta-Jones ed Aaron Eckhart; oppure, a film come Semplicemente irresistibile, con Sarah Michelle Gellar. Il sapore del successo, si dimostra invece una vera e propria guerra dei sapori, dove l’interprete principale è il cibo e la sperimentazione di esso.
La regia si sofferma di continuo, filmando nel dettaglio la materia prima, gli utensili e le eleganti e strutturate pietanze elaborate dall’ eccelsa creatività degli artisti dei fornelli, alternando a rapidi salti d’inquadratura, riprese più contemplative, che fotografano la meraviglia dell’opera culinaria, stimolando la sensorialità, anche se solo visiva, dello spettatore. Gli spostamenti di macchina, durante il servizio, sono frenetici, indiavolati e si muovono all’impazzata, simulando in modo impeccabile, il ritmo folle, concitato ed adrenalinico, di una cucina di rango elevato.
Tutto dev’essere perfetto, preciso al millimetro, senza la benché minima sbavatura, per entrare nell’Olimpo degli chef stellati e fra i mostri sacri della ristorazione.
Questo è Adam Jones, il protagonista del film; un soggetto borderline, maniaco del controllo; ma anche un alcolizzato ed una persona con una preponderante propensione all’egocentrismo. Un individuo disumanizzato, perché patologicamente in cerca del successo a tutti i costi, nel campo che gli compete, negato nei rapporti umani e preso solamente dalla sua professione. Il film diretto da John Wells, è un la parabola del declino e della rinascita di una qualsiasi superstar, ma che dovrà venire a patti con il proprio lato umano e con chi gli sta attorno, se vorrà raggiungere gli obiettivi che si è prefissata.
Il sapore del successo procede speditamente per tutta la sua durata, senza mai annoiare; ed ogni sequenza, si palesa avvincente ed accattivante, rivelandosi uno spericolato viaggio sulle montagne russe.
Oltretutto, I dialoghi sono intriganti, nel loro così essere ficcanti, eccitanti ed ironicamente irresistibili.
Bradley Cooper, "gordonramsayzzato" all’ennesima potenza nel ruolo di Adam, assumendo sembianze infernali sotto la giacca da cuoco, è un sorprendente ciclone di emozioni e di alti e bassi. Oltre a Bradley Cooper, nel cast, ci sono anche una tostissima Sienna Miller, un complicato Omar Sy, ed il nostro Riccardo Scamarcio, nei panni di un irascibile compagno di cucina di Adam. Mentre, più delicata (per stemperare, e far da contrasto, ai vulcanici toni tra fuochi e padelle), tuttavia non da meno, è la prova, del sempre bravo attore tedesco, Daniel Brühl, nelle raffinate vesti da maitre di sala; in molti, se lo ricorderanno in Rush, di Ron Howard. Indimenticabile, il paragone tra la categoria degli chef e quella dei cavalieri jedi; e la definizione della filosofia che si cela dietro al concetto di fast food.