Emil Cioran. Un nome che non si sente spesso, ma che ha rappresentato molto per la filosofia novecentesca.

Nonostante la sua produzione letteraria caratterizzata da un pensiero tanto rivoluzionario quanto scomodo, in pochi conoscono il ‘filosofo urlatore’, che gridava al mondo la sua disperazione, lo rendeva partecipe del suo tormento e sputava su di lui i suoi pensieri da uomo condannato ad un’esistenza irrequieta e tormentata, marchiato a fuoco dalla vita.

L’insonnia è stata la chiave del disincanto per il giovane Cioran verso quella Filosofia che tanto aveva amato, a cui credeva ciecamente e oltre la quale non avrebbe mai osato spingersi. “Avevo diciassette anni, e credevo alla Filosofia. Tutto ciò che non vi si richiamava mi sembrava peccato o porcheria, spiegò il filosofo rumeno.

Quando il fardello delle notti insonni, però, piombò nella sua vita, tutto ciò che fino a quel momento per lui aveva avuto senso smise di averne uno e la Filosofia, in cui aveva riposto la sua fiducia e le sue speranze, divenne un inganno, un’illusione incapace di risollevarlo dalla disperazione e inerme di fronte all’indescrivibile tormento delle sue veglie.

Cioran non perdonò mai alla Filosofia quel dolore che non fu in grado di alleviargli, lasciandolo solo nella prigione della coscienza costante che non gli permetteva di abbandonare la miseria della sua esistenza umana nemmeno per un po’. La sua scelta di continuare a vivere fu dettata dalla sola consapevolezza di essere in potere di suicidarsi e di porre fine ai suoi supplizi; il suicidio: l’unico frutto possibile del libero arbitrio e l’unica speranza che lo teneva in vita.

Perché la Filosofia non è in grado di consolare dalla disperazione?

Cioran dovette provare la disperazione sulla propria pelle prima di comprendere il mero carattere tautologico dei sistemi filosofici in cui per anni aveva creduto e per ridurre l’attività dei filosofi a pura razionalizzazione di chi pensa per il semplice gusto di pensare.

“Quale vantaggio ricaviamo dal sapere che la natura dell’essere consiste nella volontà di vivere, piuttosto che nell’idea, o nella fantasia di Dio o della Chimica? Semplice proliferazione dei termini, sottile spostamento del senso. Ciò che è ripugna alla stretta verbale e l’esperienza intima non ci svela nulla al di là dell’istante privilegiato e inesprimibile” sostenne il filosofo.

Fu forse anche a causa di queste denunce alla Filosofia, che Cioran venne oscurato dalla cultura accademica, agli occhi della quale si era guadagnato un ruolo da reo.

Un’accusa contro dei castelli in aria molto ben costruiti, si potrebbe dire; quei sistemi filosofici che non poggiavano sulla base - fondamentale - dell’esperienza soggettiva e che si limitavano ad interpretare la vita e la sofferenza con gli occhi di chi osserva, persero validità per il filosofo rumeno, lasciandolo disilluso ma allo stesso tempo consapevole della mancanza di certezze a cui, in quanto uomini, non potremo mai pervenire.

L'approccio teorico e speculativo alla Filosofia sviluppatosi nella modernità può dare vita ad un pensiero non sterile?

Non secondo Cioran.

Il sapere filosofico ricalcava ormai un tipo di conoscenza basata sul ragionamento, sull’analisi dei concetti e del linguaggio, ma che si discostava dal carattere soggettivo che gli avrebbe conferito attendibilità. Una Filosofia che non nasceva dall’esperienza e da sentimenti provati in prima persona da chi la professava non poteva che essere mera speculazione, incapace di produrre un pensiero che non si esaurisse laddove fosse nato, privo di qualsiasi finalità che andasse oltre se stesso.

Il filosofo diventò così quello che Cioran definì ‘un impiegato del concetto’, che analizzava l’essere umano da un punto di vista distaccato, basandosi su conoscenze prettamente didattiche, vuote in quanto non fondate sulla comprensione più intima di quelle emozioni umane che venivano indagate solamente da lontano; vi era un abuso dell’utilizzo di schemi logici che venivano applicati a qualcosa di cui non si aveva la reale conoscenza ma di cui ci si professava esperti.

“I filosofi scrivono per i professori e i pensatori per gli scrittori” sostenne Cioran mostrando la vuotezza a cui aveva ceduto la Filosofia moderna, che ormai aveva perso di vista il suo fine e aveva posto i suoi pilastri su se stessa, diventando vana e senza significato. L’inerzia con cui nelle Università veniva tramandato il sapere filosofico disgustò Cioran, che prese le distanze dal mondo dell’insegnamento - dopo essere stato docente per un anno, in Romania - intristito dalla figura ormai arida del professore che non poteva più essere definito filosofo.

Perdersi e soffermarsi sull'artificiosità dei concetti rischia di far perdere importanza alla ricerca interiore?

Una Filosofia che perde le sue radici e si focalizza su concetti costruiti su se stessi fa perdere necessariamente importanza alla ricerca interiore e a quel ruolo di ‘animi medicina’ che le era stato conferito nell’antichità.

L’ampollosità della Filosofia moderna rappresenta certamente un progresso del pensiero e della logica, mette in mostra le abilità dei suoi pensatori che però, pur di raggiungere terreni ancora inesplorati dalla ragione umana, scelgono di non coltivare più un sapere mirato a liberare l’essere umano dalla sua condizione misera e angosciante.

Ed è proprio di fronte a questo che Cioran si disincanta, ad una Filosofia che si dimostra vuota e a conti fatti, incapace di trovare una soluzione ai problemi che affliggono l’esistenza umana, caratterizzata dalla tragicità e dalla sofferenza.

Per alcuni fu un esistenzialista pessimista, per altri un nichilista a tutti gli effetti, ma la realtà è che Emil Cioran fu tante cose senza pretendere di essere niente, diede origine ad una visione della vita umana tanto inconsueta da non rientrare in alcuna categoria precisa e seppe trovare per la prima volta nell’accettazione del proprio fallimento la sua liberazione.

Non seguì la strada del pensiero sterile, non cedette al sapere didattico, scelse la via più difficile ed ebbe il coraggio di sfatare i miti su cui si ergeva la cultura del suo periodo, senza aver paura di perdere ogni certezza.

Cioran rinunciò anche alla Filosofia, si abbandonò ad un’esistere vuoto senza cercare false speranze a cui aggrapparsi. E scrisse. Scrisse ogni qualvolta sentisse crescere in sé il desiderio della morte, per sfuggire al richiamo del suicidio che tanto lo allettava, lasciando ai posteri raccolte di pensieri che sono in realtà atti di coraggio - o forse di vigliaccheria, comunque li si voglia vedere - che meriterebbero molta più attenzione di quanta non ne abbiano in realtà.

Proprio lui, che disse che “un libro deve sconvolgere tutto, rimettere tutto in discussione”, forse non si immaginava quanto i suoi scritti sarebbero stati capaci di mettere a soqquadro tutto ciò con cui sarebbero venuti a contatto, scuotendo la sensibilità dei suoi lettori e forse - ancora non lo possiamo sapere - diventando la terra in cui una nuova Filosofia potrà porre le sue radici. Perché Cioran fu un uomo che visse a metà tra il desiderio di morire e la necessità di vivere, che non visse mai del tutto e che - speriamo - del tutto non potrà mai nemmeno morire.