Sul tema della mancata riforma delle Pensioni ricomincia la giostra di dichiarazioni, tutti si dicono poco convinti dei provvedimenti inseriti nella legge di stabilità e tutti richiedono impegni più precisi: da un lato, assistiamo all’ultimo intervento di Tito Boeri, il quale sottolinea la necessità di una riforma strutturale della previdenza; dall’altro, ci sono gli ultimi interventi dei sindacati confederali che richiedono a gran voce la flessibilità in uscita.

Al centro, c’è il governo Renzi: sul sito Affaritaliani è stata pubblicata, infatti, un’intervista a Morando, viceministro dell’Economia, il quale ha ribadito le stesse parole di Renzi e ha sottolineato come è possibile intervenire sulla flessibilità in uscita sin dai primi mesi del 2016 e ha lasciato quella che da più parti è stata definita la tipica ‘ambiguità’ del governo Renzi: le parole sono state chiare, il viceministro ha sottolineato che ancora deve essere deciso ‘se’ e ‘come’ fare la riforma delle pensioni per il 2016. Il problema che tutti evocano è quello delle coperture economiche, secondo i sindacati, invece, si tratta maggiormente di una questione connessa alla linea politica di Renzi: i soldi ci sarebbero anche, ma vengono investiti ‘male’.

Renzi, Boeri e i sindacati all’attacco: ultime news riforma pensioni 2016

L’ultimo intervento di Tito Boeri è stato piuttosto chiaro e ha ripreso alcune questioni discusse all’indomani della presentazione della legge di stabilità 2016: il governo Renzi ha perso una buona occasione per portare a termine una riforma delle pensioni che sarebbe potuta essere ‘definitiva’ e che avrebbe potuto inserire un principio di flessibilità in uscita e avrebbe favorito il ricambio nella Pubblica Amministrazione. La proposta di riforma delle pensioni per il 2016 di Tito Boeri consiste di cinque punti:

  • misure di sostegno al reddito per gli ultra 55enni che si trovano senza reddito da lavoro né da pensione;
  • mettere fine alle ricongiunzioni onerose, unificando tutte le gestioni previdenziali pubbliche;
  • la cosiddetta ‘armonizzazione’, cioè il prelievo dai redditi di pensione più alti;
  • flessibilità in uscita attraverso il ricalcolo con il sistema contributivo (è questo il punto più contestato);
  • possibilità per i pensionati di continuare a versare contributi.

La questione, secondo alcuni, riguarda proprio il ricalcolo con il sistema contributivo: stipendi bassi si tradurrebbero in assegni pensionistici assolutamente al di sotto della soglia di sussistenza, non soltanto si tratterebbe di una nuova emergenza sociale ma sarebbero comunque in pochi coloro che accetterebbero.

Insomma, si tratterebbe di un fallimento annunciato.

Sull’altra sponda si pongono i sindacati, nella cui efficacia e forza i dubbi vengono sollevati da più parti. La linea che si intende seguire da parte di CGIL, CISL e UIL è quella di portare ad oltranza la mobilitazione a favore della flessibilità in uscita: da un lato si richiede un intervento sui cosiddetti precoci, una ‘Quota 41’ come requisito contributivo, e dall’altro si sottolinea la situazione di lavoratori che si trovano impegnati in mansioni usuranti per i quali non è stata apportata alcuna modifica alla normativa.

Infine, c’è il governo Renzi e il premier che prendono ancora una volta tempo: se dal punto di vista mediatico la questione viene presentata a partire dalla mancanza di coperture economiche e finanziarie, sembra essere chiaro – e su questo punto battono i sindacati e Landini – che il problema riguarda, invece, l’idea di welfare state.

In fin dei conti, è molto più probabile che il governo Renzi si pieghi alle richieste di Boeri che non a quelle dei sindacati e di Landini: l’Europa, del resto, approverebbe la mossa del ‘contributivo’. Per approfondimenti sulle questioni riguardanti la previdenza, cliccate su ‘Segui’ in alto sopra l’articolo.