La UIL, più precisamente la branca Politiche Previdenziali del sindacato, ha reso pubblici i dati di uno studio effettuato in materia taglio alle Pensioni d’oro. Si tratta di una elaborazione basata sulle dichiarazioni del Vice Presidente del Consiglio, nonché Ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio. L’argomento è sempre il taglio delle pensioni d’oro, che secondo il leader del Movimento 5 Stelle dovrebbe partire da assegni da 4.000 euro al mese.
Dopo i vitalizi agli ex deputati già approvati alla Camera dall’Ufficio di Presidenza, sotto la mannaia del Governo rischiano seriamente di finire molti pensionati. L’analisi, riportata oggi da un articolo del quotidiano “La Stampa” di Torino, con tanto di iconografie e tabelle, dimostra come l’operazione tagli non sarà di poco conto, con molti di questi pensionati che subirebbero una decurtazione massiccia dell’assegno pensionistico.
Lo studio della UIL
Le pensioni oggi erogate con importi superiori ai 4.000 euro al mese (dovrebbero essere importi netti, almeno ad interpretare le parole di Di Maio), verrebbero ricalcolate tutte con il penalizzante sistema contributivo, come accade alla stragrande maggioranza delle pensioni oggi.
In pratica le pensioni verrebbero calcolate in base ai contributi effettivamente versati, perché tra le accuse a queste pensioni d’oro mosse dal Governo, ma anche da altri soggetti, questi assegni non sarebbero proporzionati alla contribuzione previdenziale versata dai fruitori. Secondo lo studio, un lavoratore che ha avuto una carriera di successo, fatta di continue promozioni ed avanzamenti, potrebbe essere tra i più penalizzati da questi tagli. Lo stesso si può dire con lavoratori che sul finire di carriera hanno visto una impennata importante delle retribuzioni. Il meccanismo di calcolo retributivo, quello precedente all’attuale contributivo, prevedeva un assegno previdenziale basato sulla media delle retribuzioni avute durante la vita lavorativa, con una importanza maggiore agli ultimi anni di carriera.
Evidente che chi si è visto calcolare l’assegno con il sistema retributivo, avendo stipendi piuttosto elevati, soprattutto negli anni immediatamente precedenti la quiescenza, con il nuovo sistema di calcolo sarebbe gravemente penalizzato. Secondo l’analisi della UIL e le iconografie della Stampa, il taglio per coloro che hanno avuto una impennata di reddito sul finire di carriera, più o meno negli ultimi 10 anni di lavoro, potrebbero perdere circa 1.750 euro lordi di pensione. Così come il lavoratore che ha avuto 3 promozioni in una carriera di 40 anni di lavoro, subirebbe un taglio vicino ai 430 euro al mese.
C’è anche chi ci guadagna
Il nodo è sempre lo steso, passare da un vantaggioso sistema retributivo, ad uno svantaggioso come quello contributivo farà perdere soldi a molti pensionati con assegni superiori a 4.000 euro al mese.
Tagli fino al 40% ( ma anche oltre il 50% per super-manager) per chi ha avuto una carriera costellata da alti e bassi continui dal punto di vista della retribuzione, ma anche aumenti per chi ha avuto carriere più piatte. Infatti un lavoratore con carriera piuttosto stabile, magari da dirigente dall’inizio alla fine della sua vita lavorativa, oppure con retribuzioni variate solo in relazione al tasso di inflazione, potrebbero riuscire ad ottenere oltre mille euro in più di pensione con una quarantina di anni di carriera. Questo per l’effetto opposto dei due sistemi di calcolo. Chi ha avuto una pensione basata sulle retribuzioni, costanti per tutta la vita lavorativa anche dal punto di vista die versamenti contributivi, potrebbe trarre vantaggio dal ricalcolo dell’assegno con il sistema dei contributi versati.