La trasmissione di La7 Piazza Pulita ha mandato in onda un documentario sull'Isis, mettendo in luce principalmente il modo in cui l'organizzazione sfrutta la propaganda per ottenere consenso tra la popolazione. Il documentario ha fatto sì che la domanda sorgesse spontanea: noi occidentali stiamo veramente affrontando la questione nel modo giusto, o non siamo ancora arrivati a capire quale sia il nocciolo del problema?

Continuando a comportarci come stiamo facendo, in realtà, il gioco dello Stato Islamico?

La propaganda dell'Isis

Che l'Isis sfrutti molto la propaganda è cosa nota, ma forse non ci siamo mai fermati abbastanza a riflettere sul fatto che in realtà è proprio la propoganda l'arma più forte del gruppo terroristico. Forse anche la definizione di gruppo terroristico non è esatta, o quanto meno riduttiva. Pensate per esempio ad Al Qaeda, che più di una volta è stata paragonata all'Isis. Avrete tutti in mente i video degli esponenti di Al Qaeda: telecamera fissa e basta. Bene, l'Isis compie un'operazione molto più complessa, i loro video di propaganda mirano ad attuare un'opera di convincimento in chi li guarda, cerca di entrare nelle teste delle persone e dir loro: guarda cosa stiamo facendo, lo stiamo facendo anche per te.

Ora, è normale che a noi occidentali questi video suscitino solo orrere e sgomento. Ma pensate di essere per esempio una persona che vive in Iraq, che ha visto nella sua vita almeno una guerra, che ha visto morte e miseria. Che effetto vi farebbero allora i discorsi propagandistici dell'Isis? Questa domanda è fondamentale, ovviamente non per giustificare l'operato dell'Isis, ma per cercare di comprendere un fenomeno che non piace a nessuno, ma che sta prendendo piede, e in un luogo molto vicino a noi. Comprenderlo è l'unico modo per combatterlo.

Le colpe dell'Occidente

È evidente come i Paesi occidentali abbiano delle responsabilità in tutto questo. Le zone che adesso appartengono al sedicente Stato Islamico sono state teatro di guerre e violenze causate anche da noi.

Non importa se siete d'accordo o meno con le motivazioni di queste guerre. Il punto è che il cittadino normale iracheno, o siriano, o quello che sia, ha visto succedere quello che è successo impotente, e vive in miseria a causa di ciò che è accaduto. Mettetevi nei suoi panni per un momento: potete davvero biasimarlo se finalmente crede che sia arrivato qualcuno che dà lui quello che gli spetta? Questo non significa credere che l'Isis sia accettabile, non lo è affatto, e va combattuta. Ma per combatterla, bisogna riuscire a capire perché riscuote tutto il successo che riscuote. I politici si scannano cercando voti, ma questa non è una contrapposizione tra cristiani e musulmani: i primi a morire sono poprio i musulmani che vivono in quei Paesi, e coloro che per primi stanno combattendo l'Isis sono anch'essi musulmani.

Non è questa la risposta, non si può ridurre la questione a una guerra religiosa. Bisogna comprendere il cuore della questione e cercare di contrapporsi allo scempio che l'Isis sta perpetrando prima di tutto sul piano culturare, ed entrare nell'ottica che ridurre popoli interi alla fame e alla miseria in nome dell'esportazione della democrazia o di quello che sia non può che portare, alla fine, ad una reazione violenta. Dobbiamo comprendere che è giunta, ed è già troppo tardi, l'ora di dare una possibilità a queste popolazioni. Questo è l'unico modo per combattere lo Stato Islamico. Certo, non è facile in un Paese come il nostro dove tutto ciò diventa solo un tema da campagna elettorale, dove si litiga (come peraltro riportano i fatti di cronaca giornalieri) sul numero di migranti per regione come se si trattasse di pecore invece che di persone. Ma finchè non riusciremo a comprendere, non potremo mai combattere l'Isis.