Teoricamente uno storico avversario geopolitico non è di certo l'interlocutore ideale di uno Stato impegnato nella lotta al terrorismo a cui spiattellare informazioni top-secret d'intelligence. Soprattutto se quelle informazioni derivano da fonti terze che potrebbero venir seriamente messe in pericolo. Le accuse formulate da un articolo del Washington Post colpiscono gravemente la Casa Bianca, attribuendo a The Donald la colpa di aver rivelato preziose informazioni d'intelligence al ministro degli Esteri russo Lavrov durante il recente dialogo avuto nello Studio Ovale.

Secondo il quotidiano statunitense si tratterebbe di dettagli circa un presunto piano jihadista di trasportare a bordo di aerei di linea computer portatili dalle controverse capacità deflagranti, oltre a rivelazioni sulla segreta fonte di recupero informazioni. Immediata e telematica la risposta alle accuse di Trump in due tweet della giornata di oggi: ''Come presidente volevo condividere con la Russia, cosa che ho assolutamente il diritto di fare, alcuni fatti relativi al terrorismo ed alla sicurezza dei voli aerei. Per ragioni umanitarie, inoltre, voglio che la Russia faccia grandi passi avanti nella sua lotta contro l'ISIS e il terrorismo''.

A Mosca la discrezione è di casa, il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov: '' Non ci compete, non vogliamo avere niente a che fare con questa fesseria'', così come riportato dall'agenzia Tass, ''è un qualcosa che non si può né confermare né smentire''.

Comey non è stato un caso isolato

L'intervento di Trump ha solo peggiorato l'ondata di critiche piovute quest'oggi sulle sue affermazioni. Il presidente è riuscito infatti a smentire le parole proferite dal segretario di Stato Rex Tillerson e dal consigliere di Sicurezza Nazionale McMaster, i quali avevano diffuso comunicati al fine di smontare l'articolo della rivista, in cui si affermava tenacemente che nessuna fonte, metodo od operazione militare era mai stata oggetto di discussione durante l'incontro a Washington.

I due avevano dichiarato completamente ''falso'' l'articolo della rivista.

L'accaduto evidentemente non fa che corroborare dubbi e sospetti sulle ipotetiche relazioni tra lo staff del presidente e il governo russo, perplessità complottiste che si sono moltiplicate a partire dalla settimana scorsa, con il caso Comey, ormai ex direttore generale dell'FBI. La conclusione della rivista è che Trump gode di una profondo potere coercitivo nei confronti delle informazioni che affluiscono e defluiscono dalla Casa Bianca, un potere che si attua spesso attraverso la declassificazione delle notizie riportate. Il problema non è di certo rappresentato dalla condivisione e da un incremento delle relazioni con un determinato Paese, il fatto esplosivo è che le notizie siano state deliberatamente condivise con un avversario geopolitico di grossa portata, informazioni di intelligence riguardanti cosa critici di terrorismo internazionale che erano state negate anche ai principali partner ed alleati statunitensi.

Inoltre, continua la rivista, il piano di condivisione dati prevede anche rivelazioni su quella ''fonte critica'', su quel governo alleato che non avrebbe dato il permesso agli States di divulgare a terzi incomodi. La fonte di intelligence sarebbe stata così, rimanendo in una prospettiva teorica dei fatti, seriamente messa in pericolo.