Charlie nasce il 4 agosto del 2016, dopo sole otto settimane è risultato affetto da deplezione del DNA mitocondriale, malattia gravissima che porta al deperimento dei muscoli. Charlie era, di fatto, un malato terminale. La famiglia naturalmente non poteva accettare una situazione del genere (chi lo farebbe?) e iniziarono a cercare cure; scoprirono una ricerca del 2014 della Columbia University in cui si parla di possibilità nel campo delle malattie mitocondriali (seppur unicamente testate su topi).

Non volevano perdere tempo ed iniziarono una serie di cause infinite, ognuna con la richiesta di trasferire il piccolo Charlie in America. Ad andare contro la scelta dei genitori furono prima di tutto i medici del neonato, e poi, a quasi sette mesi, dopo che Charlie venne colpito da una encefalopatia, anche i medici americani concordarono nell'impossibilità del trasferimento.

L'8 giugno scorso l'ospedale ha vinto la causa, nonostante i continui ricorsi, in particolare quello alla corte di Strasburgo. Non sembrava, a detta dei medici, possibile nemmeno trasferire il bimbo a casa, poiché gli avrebbe procurato sofferenze troppo grandi che si sarebbero aggiunte alle esistenti.

Charlie è morto ieri 28 Luglio, in un 'hospice' per malati terminali.

La storia del piccolo Charlie ha fatto molto discutere, si sono rimessi sul piatto tutti gli argomenti della bioetica, e naturalmente in prima linea abbiamo trovato i difensori della 'vita sacra'. Eppure non sembra siano stati così pro-vita quando a morire fu la piccola Sofia, di soli due anni, a causa di una legge in parlamento - sostenuta fortemente dal comitato di bioetica - che impedì l'ampliamento delle cure compassionevoli e dei quelle con staminali.

La 'vita sacra' è di certo un concetto profondamente radicato nella nostra cultura (dice Croce, fondamentalmente cristiana), ma forse è ora di iniziare a riflettere su un aspetto fortemente sostenuto da uno dei filosofi contemporanei più influenti al mondo, Jurgen Habermas. La vita va considerata non in una prospettiva di sacralità, ma più di qualità; la vita non può essere 'sacra', ma deve invece essere 'buona'.

Cosa vuol dire questo? Vuol dire ragionare sul benessere della persona, senza dare risposte di natura escatologica e più generalmente teologica alla cosa.

La buona morte deve essere garantita a chiunque

Monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, dice: "Questa vicenda ci spinge a promuovere una cultura dell'accompagnamento' e 'dire tre grandi no: quello all'eutanasia, all'abbandono e all'accanimento terapeutico' a favore di 'grandi sì' come l'accompagnamento, il progresso della scienza e il sì alla terapia del dolore'. Ma cosa sarebbe la richiesta dei genitori, presa dall'esterno e con razionalità, se non 'accanimento terapeutico'? E cosa sarebbe l'appoggio della Chiesa, nonostante 'accompagni' i genitori nella loro battaglia, se non l'abbandono del neonato alla propria sofferenza?

Si pensava infatti che, nonostante le evidenti deficienze motorie e psichiche, Charlie potesse provare dolore.

A che pro prolungare la sofferenza? Interrogarci sul concetto di vita potrebbe dar adito a moltissime polemiche, eppure è un impegno che dobbiamo prendere. Charlie ha smesso di soffrire e nonostante chiunque sia vicino a quei poveri genitori, non possiamo dimenticarci che la sofferenza, fisica quantomeno, è del tutto individuale e il primo a rimetterci sarebbe stato ancora il bimbo.

Per quanto possiamo essere devoti a qualunque causa, alla fine di tutto ci rimane la vita e questa non può mai essere spremuta inutilmente se a soffrirne sarà il soggetto di tanto accanimento. Pensiamo alla vita come buona e lasciamo che Charlie resti un grande esempio, l'esempio di un essere umano salvato da un inutile dolore!