Tempi vi furono in cui la principale occupazione stava nel cacciare un modello ed emularlo fino alla perversione nauseante, gli anni del Pop e del Rock 'n Roll quando si voleva la frangia alla Lennon o le calze a rete di Madonna o il giubbotto di pelle a frange bianche di Jimi H. (se non quello nero alla Elvis), tempi in cui gli scrittori guardavano indietro, sempre con spalle larghe, ai classici e non potevano fare a meno di Tolstoij, Proust, Dante, Shakespeare, Goethe o Emily Dickinson per respirare una luce di genio; tutto consisteva nel prendere, imitare, distruggere e ricreare.
E questo processo portava a scoprire chi si era davvero - ma più importante ancora, tutti volevano essere protagonisti della propria vita, accendere i propri riflettori.
Il caso francese e Motel Voyeur annunciata su Netflix
Settimana scorsa, un quotidiano locale francese pubblica una notizia strana: a Var, un uomo di 60 anni, originario di Fréjus, utilizzava quotidianamente uno specchio per spiare le donne nei bagni pubblici. Finché non viene beccato. Una toilette nel mezzo dei boschi e uno specchio grande quanto una carta di credito, non serviva altro per un voyeur. Ma non bastava: salito sul treno più vicino decide di seguire una donna nella cabina del bagno e di guardarla...
lì è stato fermato.
Nel 1966 un certo Gay Talese viene ripreso dal direttore di hotel perché le videocamere hanno scoperto la sua attività: spiare i clienti intenti in rapporti. Non si vergogna, o colpevolizza, ma anzi si sente orgoglioso e decide di scrivere un diario accurato con tutto ciò che ha visto in motel quei mesi: nomi, etnie, orientamenti, preferenze sessuali... il piacere del voyeur, confessa Talese, sta anche nel farsi scoprire (pertanto la necessità, l'impulso di trascrivere tutto ciò che ha visto!). A compilare e revisionare il diario ci pensa proprio il direttore di hotel, che scopre di essere combattuto tra la sua responsabilità e l'eccitamento condiviso verso l'atteggiamento di Talese.
Netflix ha deciso senza ipocrisia di spiattellare i reportage sulla sua rete- e ci sta lavorando- come curiosa analisi del gusto sessuale americano.
Oggi? La fessura del web
La tendenza, al limite della psicoanalisi, è quella di non vivere, ma di guardare scorrere la vita degli altri. Siamo sostanzialmente 'voyeur', o dei viscidi guardoni se vogliamo tralasciare i francesismi.
Non vogliamo più essere attori, stelle, nella nostra esistenza: preferiamo essere SPETTATORI della vita altrui. Vogliamo guardare la finestra virtuale del vicino, per riempire le giornate, non vogliamo agire, ma fissare le azioni di chi (con una semplice ripresa) è attore di vita nella rete, a loro volta spettatori di altri attori online, per non doverci sforzare, per non sentirci soli pur essendo alienati nel buio della propria stanza, per specialmente non dover affrontare l'ansia e la paura di fallire, non mettendosi nemmeno alla prova, ma guardando chi lo fa.
E intorno perdiamo di vista cosa succede o lo alteriamo, ci sembra troppo lontano perché ci tocchi. I gameplay, gli youtubers, i talent show e in cima i porno sono tutti i sintomi del nostro voyeurismo. Guardiamo agire per non dover agire. Guardiamo senza la minima speranza o voglia di sognare, anzi con la rassegnazione di essere falliti di fronte a individui semplici e avvertiti come irraggiungibili.
Il vizietto da regista, la paura di essere attore di vita
Ne sa qualcosa Alfred Hitchcock. Non è un segreto che si trastullasse fissando le attrici dei suoi film, attraverso lo spioncino degli spogliatoi dietro le quinte (lo si vede anche nel film biografico di Sacha Gervasi, con Hopkins).
Instagram adesso ha sostituito il vizietto da regista cinematografico, al posto della cinepresa c'è il click.
Si stalkera più a distanza, ma sempre più invasivamente, massicciamente, nascosti, ma sempre più sono colpite le persone comuni, intimamente- sex tapes, profili pubblici di Facebook, siti incontri e prostituzione webcam... una miriade di strumenti, tanto da colpire tutti. E non solo sessualmente. Paradossalmente, ci piace osservare il diverso e cercare il simile, per non sentirci soli, soli nella propria stanza.
Il caso archetipico, tralasciando il porno amatoriale, è proprio il gameplay, tanto che si chiedono in molti: perché devi guardare giocare e non giochi tu in prima persona? È la paura di non essere mai, mai abbastanza, mai sufficienti al mondo che si gonfia, in espansione, costringendo a cercare uno spazio personale sempre più ristretto. E cosa se non il web, oblio in cui tutto è posto e tutto è irrecuperabile. Preferiamo essere i registi, piuttosto che gli attori. Registi dall'occhio lungo.