“La Turchia sta pianificando un genocidio nella Siria nord-orientale”. Non usa mezzi termini Gregory Stanton, accademico e attivista americano, fondatore della ong Genocide watch. Sono in pericolo i popoli che vivono nell’area, Curdi in primis, ma anche minoranze etniche yezide e gruppi di arabi cristiani, circa 100.000 persone.
Mercoledì 9 ottobre il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha infatti annunciato l’inizio di un'offensiva militare sul confine con la Siria, con l’obiettivo di colpire le posizioni delle milizie YPG curde, da anni impegnate in una lunga e sfiancante lotta contro il terrorismo dell’ISIS ed artefici, dal punto di vista politico, di un esperimento di organizzazione sociale inedito per il Medio Oriente.
I primi bombardamenti hanno avuto come target la città di Ras Al Ain e, secondo la comunicazione delle forze curde, avrebbero colpito, deliberatamente obiettivi non solo militari, ma anche civili, il che costituisce un crimine di guerra. L’operazione, denominata cinicamente “peace spring” ovvero “fonte di pace”, estende di un anno la presenza militare turca dopo il fallimento del primo tentativo di invasione dell’operazione “ramoscello d’ulivo”. Ma cosa sta provando a realizzare l’autocrate Erdogan? In breve, ha annunciato che l’obiettivo della missione è quello di creare una zona-cuscinetto di circa 30 chilometri tra il confine turco e quello siriano, zona ora controllata e abitata da una maggioranza curda, per “rimpatriare” milioni di rifugiati siriani ora ospitati in Turchia e, in ultima analisi, secondo Stanton, quello di “arabizzare” la regione e rimuovere a forza i curdi.
Peccato che Erdogan si dimentichi che il cosiddetto Refoulement, cioè il respingimento forzato dei profughi verso un Paese non sicuro, è un crimine contro l’umanità in base ai principi del diritto internazionale universalmente riconosciuti. “La Turchia intende perseguire questo cambiamento demografico per distruggere l'autonomia curda in Rojava", sostiene Stanton. “L’intenzione della Turchia è quella di provocare un genocidio o, comunque, un bagno di sangue innocente”.
Non è nemmeno necessario ricordare che le opposizioni in Turchia sono intanto messe a tacere e nuove misure repressive hanno trasformato il Paese che fa da ponte tra Europa ed Asia, in teoria democratico, in uno stato di polizia autoritario.
Il giornalista Hakan Demir della testata “Birgun” è stato arrestato nelle ultime ore. Mentre la diaspora turca in Germania glorifica Erdogan e sostiene l’aggressione, i dubbi sono legittimi sul fatto che i cittadini turchi sentano la necessità di una guerra, peraltro in una congiuntura economica non favorevole per il Paese.
Il tradimento di Trump nei confronti dei curdi
Il presidente Erdogan non ha certo preso questa decisione senza che ci fossero i presupposti per un’invasione. Sono passate infatti poche ore dalla “pugnalata alle spalle” del presidente americano Donald Trump ai danni dei partigiani curdi. Sono rimasti circa un migliaio di soldati americani nella regione settentrionale della Siria, il Rojava.
Trump, nella serata di lunedì, ha esternato la volontà, mediante un comunicato stampa, di farli tornare in patria. Ciò a seguito ad una telefonata con l’uomo forte della Turchia.
Nella giornata di oggi Trump è tornato a far parlare di sé, affermando che è stata “la giusta decisione” abbandonare le milizie curde al loro destino poiché “i curdi non erano al nostro fianco durante lo sbarco in Normandia”. Avete capito bene. Ha detto proprio così.
Il ricatto di Erdogan verso l’UE: se sosterrete i curdi vi manderemo 3 milioni di profughi
Intanto oltre 12 combattenti dell’Isis, detenuti in campi del Rojava come prigionieri di guerra, tra cui 4 mila foreign fighter, sarebbero a rischio fuga a causa dell’offensiva turca.
Durante una conferenza stampa a Montecitorio, il comandante delle Forze democratiche curdo-siriane (FDS), Dolbr Jomma Issa, ha dichiarato che “noi non li rilasceremo mai, ma non so fino a quando potremo controllarli”. Invece il presidente turco ha ricattato l’Unione Europea minacciando di far passare circa 3,6 milioni di rifugiati attraverso il Mar Egeo verso il resto d’Europa, nel caso in cui Bruxelles provasse a condannare l’operazione Peace Spring. Inutile dire che le cancellerie europee hanno subito provveduto a bollare questa richiesta del presidente turco come irricevibile.
Per cosa combattono i curdi nel Rojava
Lo scopo dichiarato delle YPG e delle YPJ (brigate femminili) è quello di formare una Siria democratica, secolare e federale.
La parità tra uomo e donna nei territori controllati è rispettata e questo le YPG lo hanno dimostrato in battaglia. Per tale ragione, col supporto della coalizione a guida statunitense, nel corso della guerra erano entrati in conflitto aperto con i terroristi dell’autoproclamato Stato Islamico, nonché con l’Esercito Siriano Libero appoggiato dalla Turchia in funzione anti-Assad.
La loro area di azione è l'autoproclamata Federazione Democratica della Siria del Nord, detta comunemente Rojava, territorio autonomo de facto costituito in larga parte da aree a maggioranza curda e da aree strappate al controllo dell'ISIS. Il modello politico cui le forze curde si ispirano è il confederalismo democratico, secondo il quale il territorio, diviso in cantoni, viene ulteriormente suddiviso in comunità autonome dove tutte le minoranze etniche e religiose trovano rappresentanza grazie ai consigli.
La produzione è inoltre nelle mani delle comunità locali che devono convivere con un embargo e con un isolamento internazionale certamente deleterio per le opportunità di una regione così ricca.
Nella memoria dell’occidente è rimasta forse traccia delle gloriose battaglie di Afrin e di Kobane grazie al quale il vessillo nero degli estremisti islamici è stato estirpato? Donald Trump ha intenzione di rimanere un uomo di parola, senza cedere alle pressioni di un capo di stato straniero che in molteplici occasioni gli ha voltato le spalle e che ora presenta alla Comunità Internazionale un progetto folle, degno di essere nominato “Banalità del Male” invece che “Primavera di Pace”? E cosa aspettano Iran e Russia a sciogliere la riserva e a prendere posizione in questa causa che potrebbe avere un impatto sui loro interessi nella regione?
Il più grande alleato che Erdogan possa avere in questo momento è l’indifferenza. L’indifferenza e l’ipocrisia di un occidente che non ha avuto la forza di assumersi in primo luogo la responsabilità di sconfiggere lo Stato islamico e che ora frustra i sogni e le speranze di un popolo di oltre trenta milioni di abitanti che ha pagato un tributo di sangue altissimo e a cui l’intera umanità dovrebbe essere riconoscente.