Ogni volta cha Youssef Zaghba, ritenuto di essere uno dei responsabili dell’attacco a London Bridge, atterrava in Italia trovava sempre qualcuno ad attenderlo. Sua madre ha raccontato che ogni volta che il figlio arrivava, a Bologna veniva avvicinato da funzionari di polizia. Inoltre ogni due giorni gli agenti andavano a controllarlo al suo domicilio. La donna ha raccontato anche che quando il figlio si è trasferito a Londra, nessuno lo ha mai fermato o interrogato.

Terrorismo, gli strumenti investigativi del nostro paese

Il capo della polizia italiana Franco Gabrielli ha raccontato che i suoi uomini avevano informato i loro colleghi britannici del fatto che il ragazzo poteva costituire una minaccia e rivendica, con orgoglio, di avere la coscienza pulita. Scotland Yard, al contrario, dopo l’attentato ha affermato che Zaghba non costituiva, a loro giudizio, un elemento di interesse. Partendo da questa circostanza il quotidiano inglese The Guardian si è chiesto il perché l’Italia non abbia subito ancora un attacco terroristico di matrice islamica e ha dedicato alla tematica un articolo molto approfondito.

Pochi immigrati di seconda generazione

Francesca Galli, professore associato all’Università di Maastricht ed esperta di politiche anti-terrorismo, ha spiegato che l’Italia, a differenza degli altri paesi europei, non ha un elevato numero di immigrati di seconda generazione che si sono radicalizzati o hanno manifestato questa intenzione. Poiché, ha spiegato la Galli, per sorvegliare un uomo sospettato di terrorismo in maniera continua per tutto il giorno è necessario l’impiego di 20 persone: se il numero di persone da controllare aumentasse sarebbe impossibile per la polizia garantire una vigilanza continua e costante di ognuno di essi. Secondo gli esperti in materia l’Italia è in grado di gestire meglio la minaccia dell’Isis nell’ambito dei suoi confini utilizzando gli strumenti, legali e investigativi, sviluppati dopo decenni di esperienza nel contrasto alle mafie e di lotta al terrorismo politico degli anni '60 e '70.

L'Italia svolge una massiccia azione di prevenzione

Tra il marzo 2016 e il marzo 2017, secondo i dati forniti dal ministero dell’Interno, nell’ambito di indagini anti-terrorismo sono state fermate e interrogate oltre 160 mila persone, di cui 34 mila negli aeroporti. Sono stati arrestati 550 sospetti terroristi e sono stati monitorati mezzo milione di siti internet di cui più di 500 sono stati chiusi. La mancanza di cittadini italiani figli di immigrati di seconda e terza generazione, secondo Arturo Varvelli, esperto di terrorismo dell’Istituto per gli studi di politica internazionale, consente alle autorità di polizia del nostro paese di concentrare l’attenzione sui cittadini stranieri che possono essere espulsi anche sulla base di un semplice sospetto.

Inoltre l’Italia può utilizzare le intercettazioni telefoniche, le quali al contrario che nel Regno Unito, hanno valore di prova nel nostro Paese.

Niente leggi speciali contro il terrorismo islamico

Inoltre chi è sospettato di essersi votato alla jihad è incoraggiato dalle autorità italiane a collaborare con la promessa di vari incentivi come i permessi di soggiorno. Francesca Galli sottolinea il fatto che l’Italia non abbia varato leggi speciali contro il terrorismo. I sospettati di terrorismo possono essere detenuti per un massimo di quattro giorni senza un’accusa, proprio come qualsiasi altro sospettato. Inoltre l’utilizzo delle intercettazioni telefoniche e altri strumenti di sorveglianza della popolazione non costituiscono limitazione dei diritti civili, dal momento che la vigilanza è indirizzata a soggetti sospettati di essere mafiosi o terroristi.