I gravissimi problemi sanitari legati al Covid-19 e alla sua inarrestabile diffusione sono sotto gli occhi di tutti. A preoccupare però sono anche tutti quegli "effetti collaterali" causati dal lockdown e dalla permanenza forzata in casa: oltre alla crescente instabilità socio-economica e al benessere psicologico della popolazione, va ricordato anche il problema del maltrattamento delle donne in famiglia.
I dati raccolti al riguardo non sono incoraggianti: secondo una rilevazione dei centri antiviolenza D.i.Re – Donne in rete contro la violenza, dal 2 marzo al 5 aprile le richieste di aiuto sono aumentate del 74,5%.
Aumentano le richieste di supporto: 2867 in un mese
In un contesto di emergenza sanitaria come quello attuale le categorie più fragili sono esposte a maggiori rischi. Ecco perché sin dall'inizio del lockdown ci si è preoccupati delle conseguenze che convivenza e isolamento forzati avrebbero potuto avere sulle donne che subiscono maltrattamenti in famiglia.
Secondo i dati raccolti da D.i.Re.
- Donne in rete contro la violenza, dal 2 marzo al 5 aprile si è registrato un incremento delle richieste di aiuto del 74,5% rispetto alla media mensile, e sono state ben 2867 le donne che si sono rivolte ai centri antiviolenza. Di queste, solamente 806 (pari al 28%) non si erano mai rivolte prima ai centri D.i.Re. Un dato particolarmente significativo se consideriamo che nella precedente indagine statistica, risalente al 2018, le donne che si erano rivolte ai centri antiviolenza per la prima volta erano circa il 78% del totale.
Questo calo è piuttosto allarmante, perché evidenzia come il fatto di vivere sotto la continua minaccia del convivente maltrattante renda più difficile per le vittime di violenza riuscire a trovare il coraggio di chiedere aiuto.
Veltri: 'Il governo deve assolutamente cambiare strategia'
Ad aggravare la situazione c'è inoltre il fatto che i centri antiviolenza si trovano da tempo in difficoltà a causa della mancanza di fondi, anche perché i finanziamenti straordinari richiesti per fronteggiare l'emergenza Coronavirus non sono ancora stati sbloccati.
Sebbene il Dipartimento per le Pari Opportunità il 2 aprile abbia sbloccato i fondi del 2019, che devono ora transitare per le Regioni, fino ad ora nessuna regione risulta essersi attivata in questo senso.
"I centri antiviolenza e le case rifugio hanno dovuto nella maggior parte dei casi provvedere in autonomia a mettersi in sicurezza e a reperire alloggi di emergenza", denuncia la presidente di D.i.Re Antonella Veltri, secondo la quale è necessario che il governo cambi strategia o sarà difficile gestire adeguatamente il probabile aumento delle richieste di aiuto.
Giuditta Pini: 'Sblocchiamo subito i fondi'
Nonostante si denunci la mancanza di un sostegno che garantisca un intervento efficace, il problema della violenza contro le donne rimane un tema particolarmente sentito.
Nel mondo della Politica Giuditta Pini, deputata del Partito Democratico, ha espresso il suo sostegno alla causa in un tweet nel quale esorta a sbloccare immediatamente i fondi necessari ai centri antiviolenza per salvare la vita delle donne vittime e garantire loro sicurezza.
Ha ricordato inoltre come lo stesso Papa Francesco, nel corso della preghiera del Lunedì dell'Angelo, abbia voluto rivolgere il suo pensiero ai pericoli che in questo periodo corrono quelle donne che: "a volte rischiano di subire violenza, per una convivenza di cui portano un peso troppo grande".
Come chiedere aiuto
Quel che è certo è che i centri antiviolenza costituiscono un punto di riferimento per tutte le donne, ora più che mai. Oltre al 1522, numero telefonico gratuito antiviolenza e stalking, si sta pensando ad alcuni modi alternativi per chiedere aiuto, come l'uso di una parola in codice. Ad esempio, si è pensato ad un accordo con la federazione dei farmacisti: chiedendo al banco "mascherina 1522" si riceve un volantino con servizio telefonico e app della polizia.
Ma soprattutto, D.i.Re. consiglia alle donne in difficoltà di approfittare dei momenti in cui per necessità si è costretti ad uscire per mettersi in contatto con i centri antiviolenza.