A sentire Salvatore Buzzi, ribattezzato dalle cronache dominus delle cooperative, Carminati è oggetto di diffamazione. La vulgata dei giornali non corrisponde all'uomo disponibile a tendere la mano che ha conosciuto Buzzi in carcere. Ed artefatta è pure la storia della corruzione della capitale che è stata montata. Anzi, è davvero esagerato parlare di corruzione per quanto è stato sottratto.
Salvatore Buzzi, detenuto da dicembre scorso nel carcere di Nuoro, interviene in videoconferenza con il tribunale di Roma. Il tribunale dovrà pronunciarsi sulle misure da attuare per lui e un'altra decina di arrestati per concorso al gioco corruttivo. Potrebbe decidere l'obbligo di soggiorno e confisca dei beni. Nell'udienza senza telecamere l'ex presidente della cooperativa 29 giugno potrebbe anche restare in silenzio e passare palla al suo avvocato. Sceglie di parlare. Dapprima la ricognizione sulla storia della cooperativa da lui gestita a partire dall'atto di nascita nel 1985. Poi l'incontro con Massimo Carminati all'epoca della sua reclusione. "Ho conosciuto Carminati in carcere 30 anni fa e poi l'ho rincontrato a Roma e mi ha detto: 'cosa ti posso fare?' Come due amici al bar". "Carminati? È una brava persona. Si è sempre comportato bene. Ci aveva fatto avere una fornitura di pasta a prezzi vantaggiosi". Sarebbe spicciola speculazione quella delle cronache sul caso mafia-capitale, una storia gonfiata che ha spacciato falsi ritratti di persone per bene. "Corruzione? Ammettendo che ci sia stata riguarda solo il 3% del fatturato della cooperativa. La cooperativa aveva un giro d'affari di 6 milioni di euro l'anno". Dunque cifra irrisoria quella rubata. Le dichiarazioni di Buzzi sembrano quasi una confessione del reato e subito il suo avvocato corregge il tiro:" è un ragionamento per ipotesi".
Alla ricerca del tesoro di Buzzi
Intanto gli inquirenti scavano nei conti e nella contabilità alla ricerca del tesoro di Buzzi. Al vaglio una cassetta di sicurezza nel caveau di una banca a San Marino e pure i conti della moglie. I due avrebbero depositato su questi conti centinaia di migliaia di euro negli ultimi quattordici anni a partire dall'agosto 2001. Si prosegue con le verifiche a ritroso per rintracciare anche la provenienza del denaro che è stato poi reinvestito in beni immobili. Buzzi si è opposto alla confisca della casa costata 910 mila euro, una cifra che desta sospetto. Ma il boss ha ribadito che si tratta di soldi puliti. Il suo stipendio annuo era di 200 mila euro. Per acquistare l'immobile ha dovuto chiedere un mutuo regolare. Ma comunque anche quei 200 mila euro venivano da appalti truccati nei due settori chiave dei rifiuti e dei trasporti a cui erano connesse la fondazione Nuova Italia guidata dall'ex sindaco capitolino Gianni Alemanno, anche lui sotto la lente per un versamento sospetto di 400 mila euro e poi quella di Odevaine. Intanto in carcere si è tenuto anche l'interrogatorio del portaborse di Odevaine, il ventiduenne Marco Bruera, incaricato di trasferire i soldi in Venezuela,