Dal 4 al 9 ottobre Il Museo Nazionale delle arti del ventunesimo secolo (MAXII) di Roma ospiterà al suo interno la mostra fotografica "Caesar: nome in codice: detenuti siriani vittime di tortura", che documenta le atrocità che il regime di Bashar al Assad esercita sul popolo siriano dal 2011. Questa iniziativa è stata promossa da Amnesty International Italia, Articolo 21, Fnsi, Focsiv e United con lo scopo di sensibilizzare i cittadini nei confronti della complessa situazione politica siriana attraverso immagini di violenza.
Un progetto che si pone come obiettivo il consolidamento dell'unione e della solidarietà oltre le diversità culturali. Giornalisti esperti hanno presentato la mostra, tra cui Lorenzo Trombetta, Lorenzo Cremonesi e Amedeo Ricucci, che ha affermato quanto segue: "Questa mostra cerca di riportare alla realtà la natura del regime di Assad, in contrasto a quella propaganda che in Russia, ma anche qui da noi, lo vede dalla parte dei "buoni" perché combatte l'Isis, ma non dobbiamo dimenticare che molti siriani hanno preso le armi proprio a seguito della violenta repressione, alle torture e all'uccisione dei civili perpetrati dal regime e che quindi Assad ha una grande responsabilità del vortice di violenza in cui è precipitato il Paese".
Chi è realmente 'Caesar'?
Il nome Caesar è uno pseudonimo di un ex ufficiale della polizia militare siriana incaricato di fotografare presso l'ospedale militare, dopo la rivoluzione scoppiata nel 2011, i cadaveri degli oppositori al regime che manifestavano pacificamente il loro dissenso nei confronti del dittatore. Di nascosto Caesar, aiutato da un suo collega, incomincia a realizzare copie dei suoi scatti, rischiando la vita ogni giorno, per documentare una volta per tutte i crimini, le torture e gli omicidi commessi dal regime nei confronti degli stessi civili dal 2011 all'agosto 2013, anno in cui riuscirà a scappare dalla Siria per rifugiarsi in Europa. Le migliaia di foto scattate (55 mila) testimoniano come la violenza del regime di Assad colpisca duramente e senza scrupolo contadini di ogni etnia, sesso ed età.
Nonostante le varie accuse di complotto, le foto sono state considerate autentiche ed ora stanno per girare il mondo con il fine di raccontare gli orrori di una realtà non troppo lontana da noi.
Il "Caesar team"
Attorno alla figura di Caesar si è costituito il "Caesar team", che ha il compito di cercare di identificare i cadaveri fotografati per rendere giustizia alle loro famiglie: per ora solo 780 su una cifra di circa 11000, a causa delle complicazioni dovute alle deformazioni dei corpi. Uno dei suoi membri, Moaz, sostiene: "Purtroppo con queste fotografie abbiamo provocato molto sdegno ma poca azione. Caesar pensava che quando il mondo avesse visto cosa stava accadendo con una testimonianza così accurata delle violenze sui civili, avrebbe reagito in qualche modo.
Ha fatto di tutto per incontrare le persone più potenti del mondo, ma anche questo non ha portato a nessuna iniziativa concreta, cosa che gli ha generato un profondo senso di tristezza." Moaz denuncia anche il mercato creatosi dietro i reati nelle carceri: "C'è un enorme mercato che è nato attorno a questa cosa: gli stessi torturatori e la stessa polizia militare vendono le informazioni ai parenti, vere o presunte, chiedono soldi per dare un cuscino al loro parente imprigionato o per alleggerire le torture, per fargli sapere dove si trova,se è vivo, se è morto, per fargli arrivare una medicina. C'è un mercato enorme, con persone che arrivano anche ad ipotecare la casa e a vendere i terreni pur di sostenere i loro parenti nelle carceri senza sapere se poi tutti questi sacrifici risultano in un beneficio per i loro amati."