Anche la monarchia dell'Arabia saudita ha deciso di cambiare. La famiglia reale saudita Al Saud ha infattti messo in atto una serie di riforme per modernizzare il sistema monarchico. Dopo la morte del re Abdullah bin Abdulaziz Al Saud lo scorso 22 gennaio del 2015, il nuovo re Salman bin Abdulaziz Al Saud ha dimostrato che vuole rinforzare la leadership saudita. Un processo di "rottamazione" che avviene contemporaneamente all'intervento militare contro il movimento ribelle houthis nello Yemen.

Nell'offensiva interviene la coalizione dei Paesi del Golfo persico: Stati Uniti e Israele.

L'alleato americano

Con il governo americano, però, l'intesa non è del tutto chiara. Il presidente Barack Obama ha appena ricevuto un "no" all'invito rivolto al re Salman a partecipare al vertice del 13 e 14 maggio sul programma iraniano e i conflitti in Yemen, Iraq e Siria, a cui sono stati invitati anche i leader del Consiglio di Cooperazione del Golfo (Arabia Saudita, Bahrein, Emirati arabi uniti, Kuwait, Oman e Qatar). L'ambasciata di Riad a Washington ha comunicato la decisione di inviare come parte della delegazione saudita il ministro degli Affari esteri Adel al-Jubeir e il principe Mohamed bin Nayef.

Le riforme (mancanti)

Le riforme sul piano istituzionale, economico e petrolifero ci sono, ma l'obiettivo principale della monarchia sembra mantenere l'egemonia politica e militare dell'Arabia Saudita e contenere l'avanzata della Repubblica Islamica dell'Iran, nuova alleata dei movimenti terroristici che operano in Siria, Iraq e Yemen. Un rapporto intitolato "Looser Rein, Uncertain Gain" racconta cinque anni di riforme, durante il mandato del re Abdullah,  dal punto di vista dei diritti umani. Lo studio rileva, rispetto al passato, una maggiore tolleranza (apparente) della diversità di opinioni e una maggiore partecipazione della donna alla vita pubblica del paese.

Tra le recenti "liberalizzazioni" per le donne è stata inserita la possibilità di andare in bicicletta, mentre resta il divieto di guidare la macchina.

La doppia strategia

Emile Nakhleh, professore e ricercatore dell'Università di New Messico, e autore di "A Necessary Engagement: Reinventing America's Relations with the Muslim World", sostiene che "la verità è che negli ultimi quattro anni, il governo degli Stati Uniti non ha criticato le politiche antidemocratiche, corrotte e repressive dell'Arabia Saudita". Secondo l'analista in Arabia Saudita è in progetto un programma che ha la finalità di persuadere i giovani ad abbandonare il radicalismo e il terrorismo. "La doppia strategia - continua Nakhleh - è impartire insegnamenti islamici moderati e offrire lavoro e sostegno economico a chi acquista una casa e vuole sposarsi".

La monarchia dovrà gestire problemi molto occidentali: l'alto indice di disoccupazione giovanile e la corruzione generalizzata.

La questione petrolifera

Un'altra questione è il tema del petrolio. L'Arabia saudita è il membro più forte e attivo dell'Organizzazione di Paesi Esportatori di Petrolio (Opec) e, a marzo, ha aumentato la sua produzione di 10,1 milioni di barili al giorno, l'indice più alto della storia secondo il registro dell'Agenzia Internazionale dell'Energia. Il Ministro del Petrolio saudita, Ali Al-Naimi, ha insistito nell'affermare che la monarchia non cederà quote di mercato, nonostante la concorrenza stia aumentando. In una comunicazione di Citigroup a Londra, Seth Kleinman, capo analista della ricerca energetica europea, ha affermato che "aumentare la produzione ed esportazione di petrolio è la nuova strategia petrolifera dell'Arabia saudita". "Se si vuole fare pressione sui produttori che spendono molto per la produzione - ha insistito Kleinman - perché frenare il petrolio? Bisogna usarlo tutto. Adesso".