La chiusura di un lungo tratto della frontiera tra Venezuela e Colombia - decisa una decina di giorni fa dal leader boliviariano Nicolás Maduro - sta provocando una crisi umanitaria e diplomatica con pochi precedenti, tra i due Paesi. E le cose peggiorano ogni ora che passa, mentre sale il tono delle dichiarazioni delle due parti. Andiamo però con ordine. Con la decisione di chiudere i confini - dopo un attentato che ha provocato il ferimento di due militari venezuelani e un civile - Caracas ha dichiarato anche lo stato di emergenza in una vasta area della frontiera.
Adducendo quindi la presenza di paramilitari colombiani nella Regione, Maduro ha dispiegato una vasta operazione di polizia.
Profughi, superata quota settemila
L'intervento ha prodotto, come conseguenza diretta, l'espulsione di oltre mille colombiani (241 i minorenni) presenti illegalmente nella zona; e come effetto indiretto, l'esodo volontario di circa seimila loro concittadini, che hanno preferito, vista l'atmosfera non proprio favorevole, il ritorno in patria. In buona sostanza, si tratta di oltre settemila nuovi profughi alcuni dei quali - con buona pace dello status come rifugiati, di cui dovrebbero godere - in fuga dalla guerra civile colombiana degli anni Novanta.
La stampa nazionale - e internazionale - ha già approfondito i motivi alla base della draconiana misura.
Le cause della tensione
Com'è noto, Caracas afferma di voler contrastare gli sconfinamenti dei paramilitari e soprattutto l'illegalità straripante nell'area: non solo il contrabbando - specie di benzina e beni di prima necessità - ma più che altro il consolidarsi di una vera e propria zona franca. Gli oppositori ribattono invece che il provvedimento mira a sviare l'attenzione rispetto ai gravi problemi - economici e politici - interni; e addirittura - aggiungono i più critici - rappresenta una prova generale, in vista della soppressione delle Elezioni legislative in Venezuela, a dicembre. O comunque - nel migliore dei casi - si punterebbe a controllare 'manu militari' aree in mano all'opposizione moderata, per limitare prevedibili batoste.
E poi ci sono i nemici giurati del chavismo, secondo cui alla radice di tutto vi sarebbe uno scontro ormai insostenibile tra due cartelli della droga, entrambi appartenenti alle forze di sicurezza boliviariane: da un lato il Cartel de Los soles gestito dall'Esercito, e dall'altro il Cartel de La Goajira, longa manus della Guardia nacional. Di certo al prossimo appuntamento elettorale le sinistre rischiano grosso; specie per la perdita del potere d'acquisto della valuta locale, fiaccata da un'inflazione che veleggia intorno al duecento per cento.
«D» di demoler, come il «jude» nazista?
Intanto le organizzazioni a difesa dei diritti umani puntano il dito contro gli abusi dei militari di Caracas.
Che avrebbero umiliato i futuri profughi oltre confine: del resto si ha notizia di abusi sulle donne, e saccheggi delle case, di volta in volta contrassegnate con la «R» di revisión o la «D» di demoler. Che troppo ricorderebbe il «jude» di hitleriana memoria.
Come abbiamo anticipato, la tensione è aggravata dagli slogan dei politici di entrambi gli schieramenti, mentre quasi a nulla è servito il recente incontro tra le due ministre degli Esteri. I loro Governi hanno, infatti, visto bene di richiamare i rispettivi ambasciatori. Così, se Maduro imputa ogni colpa all'oligarchia colombiana, dal lato opposto l'ex presidente César Gaviria parla di «anticolombianismo feroce, volgare».