L'ex Presidente - operaio del Brasile, Luiz Inácio Lula da Silva, è stato rinviato a giudizio: la prima volta da quando è deflagrata l'operazione Lava jato. Il giudice Ricardo Leite di Brasilia ha accettato l'incriminazione per il reato - non grave, nel sistema penale locale - di tentativo di ostruzione alla giustizia. Si tratta di un filone secondario rispetto all'insieme di grane processuali che incombono sull'ex Capo dello Stato.

Potrebbe però trattarsi del punto di partenza verso problemi giudiziari più gravi per l'artefice del miracolo economico del Brasile.

In questa ipotesi, il leader è accusato di aver cercato di ridurre al silenzio Nestor Cerveró, l'ex direttore del colosso statale degli idrocarburi, Petrobras. A confessare, il senatore destituito, Delcídio do Amaral: questi asserisce di aver agito verso Cerveró sotto gli ordini di Lula - e col consenso della Presidente sotto impeachment, Dilma Rousseff - circa il caso Pasadena; ossia l'inchiesta per l'acquisto quantomeno azzardato, negli Stati uniti, di una raffineria in pessime condizioni. Secondo il quotidiano "O globo", nel 2005 il Governo avrebbe pagato un miliardo e 300mila dollari, per un complesso che non valeva più di 126 milioni: operazione disposta - secondo i magistrati - da Lula, e dall'allora ministro delle Miniere e dell'energia, Rousseff.

E qui inizia la via crucis processuale di Lula, che è stato preso in contropiede dalla vicenda.

Brasile, ricorso di Lula alle Nazioni Unite

Questi temeva sì che una tempesta stesse per arrivare, ma credeva che i nuvoloni giungessero dal giudice Sérgio Moro di Curitiba - che si occupa del filone principale dell'indagine Petrobras - e non dallo sconosciuto Leite.

E per questa ragione il leader nato in Pernambuco aveva denunziato Moro - per persecuzione politica - all'Ufficio delle Nazioni unite a Ginevra. E non tanto per ottenere chissà quale provvedimento salvifico, quanto per attribuire un significato dignitoso alla propria vicenda: Lula - visto l'andazzo - vuole almeno passare per un prigioniero politico, piuttosto che per un politico, prigioniero.

Ormai teme di finire dietro le sbarre, di essere il primo ex Presidente verde-oro arrestato per reati con fini di lucro.

Brasile, la storytelling di Lula

Preferisce - se possibile - lo stato di perseguitato e vittima, che gli consentirebbe - se non l'esilio - di salvaguardare la biografia. Un po' ciò che l'ex ministro José Dirceu pensò di fare ai tempi dello scandalo Mensalão. Lula punta sugli alleati interni per accreditare la versione. E non dovrebbero mancargli, negli ambienti mediatici, associativi, universitari. La narrazione di Lula e della sinistra è quindi chiara: l'ex Presidente è vittima di quello stesso golpe parlamentare che ha scalzato Rousseff dalla Presidenza del Brasile. Quel colpo di stato morbido - recita il leitmotiv, la storytelling di Lula - che ha preso come pretesto la normativa costituzionale sulla destituzione, e che è stato invece promosso proprio dai poteri forti, a suo tempo contrastati per favorire l'ascesa sociale dei più poveri.

Il piano di Lula è tuttavia minacciato non solo dall'avanzata giudiziaria, che imputa, a quella classe dirigente, una gran varietà di reati. C'è dell'altro: il lulismo degli anni del boom in Brasile - giudicandosi (anche a ragione) investito da una missione messianica - non soltanto è sovente passato oltre la fredda norma giuridica; ma sentendosi inattaccabile, non ha neppure fatto nulla per occultare certe violazioni.