Lo aveva già fatto, prima di essere eletto Papa: Francesco aveva già lavato i piedi a due ragazze. L'apertura della lavanda dei piedi anche alle donne adesso non sarà più solo un fatto isolato, bensì un vero e proprio principio messo per iscritto nel messale. La volontà del pontefice è stata quella di "modificare la rubrica secondo la quale le persone prescelte per ricevere la lavanda dei piedi debbano essere uomini o ragazzi, in modo tale che da ora in poi i pastori della Chiesa possano scegliere i partecipanti al rito tra tutti i membri del popolo di Dio", comunica la sala stampa della Santa Sede.
Il senso del gesto
Il gesto della lavanda dei piedi era un'usanza molto diffusa nel mondo antico. Nello specifico, era compito dello schiavo lavare i piedi che si sporcavano a causa delle strade fangose e polverose del tempo. Gesù compie questo gesto per sottolineare il fatto che la sua missione è di servizio: lava così i piedi ai suoi discepoli durante l'Ultima Cena. "Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi", racconta Giovanni.
Le possibili conseguenze del gesto
Il rito della lavanda dei piedi oltre a ripetere il senso generico di "gesto servile" porta con sè anche il preciso contesto dell'ultima cena. Aprire il rito anche alle donne, con molta probabilità, è anche ammettere il fatto che tra i dodici poteva esserci anche una donna o, più in generale, il fatto che l'apostolato possa offrirsi anche alle donne.
Dal 1960, la teologia cristiana femminista ha ribadito più volte e attraverso diverse dimostrazioni il fatto che nel cristianesimo delle origini le donne avevano la stessa autorità degli uomini, incarichi importanti di guida nelle comunità, avevano anche loro "l'autorità del vangelo". Secondo questo filone esegetico (di studio del testo) il messaggio essenziale portato da Cristo è la possibilità per tutti di rinascere a vita nuova, l'esistenza di un nuovo tipo di essere umano e non il fatto che Cristo fosse maschio.
In breve, la teologia femminista evidenzia come "il mezzo è diventato il messaggio", ossia: la cultura del tempo (maschilista e patriarcale), trasmettendo il messaggio di Cristo attraverso il linguaggio e la mentalità maschilista dei traduttori del tempo, ha finito per presentarci una tradizione cristiana tutta al maschile.
A sostegno di tale tesi è ricordato come la maggior parte dei traduttori contemporanei pensa che Romani 16,7 parli di due uomini, che erano diventati cristiani già prima di Paolo e che godevano di grande autorità come apostoli, mentre, M. J. Lagrange ha fatto notare il fatto che: "Non c’è motivo di intendere Giunia come una forma abbreviata del nome maschile Giuliano (Junianus), dato che Giunia era un nome femminile molto comune.
Perfino l’esegesi patristica lo intese prevalentemente come nome di donna. Andronico e Giunia erano un’influente coppia di missionari ed erano riconosciuti come apostoli" .
Romani 16,1-3 rappresenterebbe, tra gli altri, un altro passo solitamente interpretato in senso androcentrico. In tale passo Febe è chiamata il diakonos e prostatis della chiesa di Cencrea, il porto di Corinto. Gli esperti avrebbero cercato di sminuire l’importanza dei due titoli in questo passo perché sono usati per una donna.