Il Fronte Democratico Siriano ha combattuto e liberato la città di Manbij dall'Isis. La maggior parte della stampa occidentale lo definisce una "coalizione guidata dagli Stati Uniti" ma troppo spesso si tralascia che un gran numero di questi uomini sono componenti dell'Ygp, l'Unità di protezione del popolo curdo. A queste milizie, che hanno dato un contributo fondamentale per la riconquista di Manbij, potrebbe venir imposto di lasciare il fronte e ritirarsi ad est del fiume Eufrate.
Lo chiede il governo turco ma tutto ciò è fonte di forte imbarazzo per Washington che punta sull'apporto dei Peshmerga anche per gli assalti a Raqqa e Mosul, le capitali del sedicente Califfato in Siria ed Iraq.
Un accordo tra USA e Turchia?
La posizione della Turchia sulla questione siriana è sempre stata ambigua. Recep Erdogan vuole la fine del regime di Bashar al-Assad: per questo ha supportato la rivoluzione e, nel contempo, avrebbe fornito finanziamenti ed armi ai gruppi jihadisti. Partner NATO e dunque alleata degli Stati Uniti, Ankara non ha però evitato di attaccare le milizie curde della coalizione anti-Isis.
La recente operazione di Manbij avrebbe avuto il silenzio-assenso di Erdogan che, però, avrebbe chiesto in cambio, a cose fatte, l'allontanamento dei combattenti curdi dal fronte ed il pieno controllo alle fazioni arabe facenti parte del Fronte Democratico Siriano. Secondo quanto dichiarato da Mevlut Cavusoglu, ministro degli esteri del governo Erdogan, Washington avrebbe promesso di acconsentire a questa richiesta e la cosa non sorprende più di tanto. L'avvicinamento turco alla Russia di Putin preoccupa la Casa Bianca che avrebbe tutta l'intenzione di mantenere i rapporti con Ankara, considerati fondamentali per la strategia statunitense in Medio Oriente. Se però vuole tentare nei prossimi mesi la marcia su Raqqa, il Fronte Democratico ha bisogno delle milizie curde a meno che l'attuale dialogo con Mosca non porti alla creazione di un fronte unico anti-Isis.
Le trattative Washington-Mosca
Comunque vada, Washington dovrà ingoiare un brutto rospo. Le trattative con la Russia sono in corso, il punto di partenza della discussione è Aleppo dove l'assedio da parte dell'esercito siriano nei confronti di ribelli e milizie jihadiste è in fase di stallo. Se si raggiunge un accordo e la presa sulla martoriata città viene allentato, una delle trattative che sarà gettata sul tavolo riguarda il futuro del regime di Damasco che oggi può contare anche sull'appoggio politico (ed a breve, probabilmente anche militare) della Cina. Vladimir Putin si è sempre dichiarato disponibile a supportare una svolta democratica in Siria, a patto che sia consentito ad Assad di prendere parte alle elezioni e lasciare che sia la sua gente a decidere sul governo del Paese.
Un accordo consentirebbe alle due potenze di collaborare per la presa di Raqqa che segnerebbe la sconfitta definitiva dell'Isis in Siria.
Le trattative Mosca-Ankara
Se le milizie curde restano sul fronte, la questione potrebbe incrinare ulteriormente i rapporti tra Turchia e Stati Uniti. L'Ygp sta pagando un pesante tributo in termini di uomini nella guerra all'Isis e, se prende parte alle future trattative di pace, la richiesta sarà quella di concedere l'autonomia politica al Rojava o Kurdistan siriano. Questo è il timore principale di Erdogan che ha sempre accusato l'Ygp di recitare un ruolo importante negli attentati terroristici attribuiti al PKK sul suolo turco e potrebbe invece ritrovarsi con uno Stato curdo al confine.
Il disegno dei curdi siriani è stato sempre contrastato dal regime di Damasco, alla fine Ankara potrebbe cedere sulla questione Assad ma avere il supporto russo contro i curdi. Putin potrebbe aver pigiato questo tasto già nel recente incontro con Erdogan a San Pietroburgo. In tal modo il presidente russo potrebbe creare anche le basi per un dialogo tra Turchia ed Iran, altro fedele alleato di Mosca oltre che ferreo oppositore della causa curda.