Lo scorso novembre, l'abbattimento di un caccia F-16 russo al confine tra Siria e Turchia aveva rischiato di incrinare pericolosamente i rapporti tra Ankara e Mosca. Dal Cremlino furono lanciate pesantissime accuse nei confronti del governo turco ed il clima si fece così teso da pensare che la vicenda sarebbe andata ben oltre l'incidente diplomatico. Con la visita di ieri a San Pietroburgo, Recep Erdogan ha chiuso definitivamente lo spiacevole capitolo ed ha aperto una nuova pagina della storia recentedelsuo Paese. Nel corso dell’incontro con Vladimir Putin si è parlato di politica estera ed economica.

Ci sono divergenze di pensiero ma tutto lascia presagire che la Turchia possa diventare ben più di un semplice partner commerciale della Russia.

La questione siriana

I rapporti del governo turco con Europa e Stati Uniti, dopo la dura repressione seguita al fallito golpe, sono ai minimi storici. Erdogan è consapevole del momento critico e vuole evitare l’isolamento internazionale. Da parte di Putin la strategia sembra chiara, quella di costruire un nuovo asse con il quale estendere la propria influenza in Medio Oriente. Il presidente russo, pertanto, ha fretta di chiudere la questione siriana le cui sorti potrebbero definitivamente pendere in favore del regime di Damasco, se si concretizza a breve la presa di Aleppo.

Cancellate le sacche di resistenza dei ribelli e dei gruppi jihadisti, la Russia avrebbe una carta vincente con cui sedersi e dettare la sua linea. Ma la permanenza di Bashar al-Assad alla guida del governo siriano è una delle citate divergenze di pensiero con Erdogan. "Certamente le nostre posizioni non sono sempre in accordo - ha detto Putin a margine del primo incontro con il presidente turco - ed una di queste divergenze riguarda la questione siriana.

Le delegazioni dei nostri due Paesi si incontreranno ancora e parleranno anche del cambiamento democratico in Siria: cercheremo una soluzione che va bene ad entrambi". Una cosa è certa, Putin non rinuncerà alla presenza del fedele alleato siriano e la proposta che sarà discussa con Erdogan potrebbe essere del tutto simile a quella già prospettata tante volte agli Stati Uniti: far decidere il popolo siriano e, dunque, permettere ad Assad di partecipare alle elezioni.

I due leader sono sulla stessa lunghezza d'onda, invece, nel promuovere sforzi comuni contro il terrorismo internazionale.

L'abile regia di Mosca

Un pezzo dopo l'altro, il mosaico costruito da Mosca sta prendendo forma. L'incontro con Erdogan arriva dopo il summit dello scorso giugno con il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, e segue di un solo giorno quello di Baku, in Azerbaijan, con il presidente iraniano Hassan Rouhani. Putin cerca di mantenere distesi i rapporti diplomatici con Tel Aviv, ripresi soltanto negli anni '90 con la disgregazione dell'URSS dopo decenni di gelo, e nel contempo sta avviando una serie di iniziative commerciali con il governo israeliano. L'incontro con Rouhani è certamente servito a fare il punto della situazione con uno storico alleato mentre la vera novità è l'inserimento della Turchia in questo disegno: il presidente russo potrebbe dunque tentare di far sedere allo stesso tavolo i governi di Ankara e Teheran, da sempre divisi da questioni religiose nell'eterno conflitto tra sunniti e sciiti, e cercherà sicuramente di convincere Erdogan a bere l’amaro calice costituito dalla permanenza del regime di Damasco, in cambio di un’alleanza politica ed economica che conviene ad Ankara.

Sono i tasselli ancora mancanti, quelli che lo “zar” deve necessariamente incastrare per portare a frutto la sua strategia. Per il momento si limita a “mostrare i muscoli” sfoderando nel contempo abili capacità diplomatiche. Le prove di alleanza con la Turchia sembrano più dettate da reciproche convenienze che da autentici punti in comune ma dopo l’incontro di San Pietroburgo, tanto Washington quanto Bruxelles dormono sonni meno tranquilli.