Su quanto sta accadendo in Siria, ad Aleppo, definita da molti "una moderna Stalingrado", le notizie di stampa sono confuse. In base a quanto diffuso dalle fonti vicine alle milizie ribelli, l'assedio sarebbe stato spezzato e le forze asserragliate all'interno del contesto urbano avrebbero dato vita ad una violenta controffensiva contro le forze leali al regime di Bashar al-Assad che sarebbero comunque riuscite, anche se con molta difficoltà, ad evitare il peggio. Le fonti governative hanno infatti smentito la rottura dell'assedio, negando inoltre che i ribelli siano riusciti a conquistare la base militare che si trova nella zona sud orientale della città.

Una versione che cozza con quella dell'Osservatorio siriano per i diritti umani che ha invece annunciato la presa della base, "nonostante i raid aerei dell'aviazione russa". In questi bombardamenti, purtroppo, sarebbero morti decine di civili.

L'importanza strategica della città

Ad Aleppo si combatte la battaglia decisiva per le sorti del lungo conflitto. Se il regime di Assad riuscisse a piegare le sacche di resistenza, l'effetto sull'opposizione sarebbe devastante. L'obiettivo è quello di spingere i ribelli alla resa e sedersi attorno al tavolo delle trattative da protagonista, spalleggiato dalla Russia e dall'Iran (nazioni attivamente impegnate in guerra al fianco del regime). Sull'altro fronte gli Stati Uniti ed i Paesi alleati del fronte mediorientale sarebbero costretti ad accettarne le condizioni.

In questo scenario non si capisce quale sia la posizione dell'Unione Europea il cui comportamento rimane ambiguo: da un lato si continua a condannare duramente il regime di Damasco ma dall'altro si dialoga con lo stesso, sottobanco, nella lotta al terrorismo internazionale. In realtà, se vogliamo leggere con uno sguardo più ampio ciò che accade ad Aleppo, possiamo intravedere il proseguo dell'eterno braccio di ferro tra Washington e Mosca.

Tramonta l'accordo tra Stati Uniti e Russia

A testimonianza di ciò, l'annunciato accordo tra Stati Uniti e Russia che avrebbe dovuto scatenare una controffensiva contro l'ex Fronte Al Nusra, che nel frattempo ha annunciato il suo distacco da Al Qaeda, e le altre fazioni jiahdiste siriane, è definitivamente tramontato. Il presidente Barack Obama deve giocoforza allinearsi con quanto prospettato dal suo probabile successore alla Casa Bianca.

A meno di clamorose sorprese elettorali, infatti, Hillary Clinton sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti ed il consigliere sulla politica estera dell'ex first lady, Jeremy Bash, ha recentemente dichiarato che "se Hillary Clinton diventa presidente ci sarà un cambio di rotta della politica statunitense in Siria". Sarebbe un ritorno alla prima posizione dell'amministrazione Obama relativa alle sorti di Bashar al-Assad, "che ha violato il diritto internazionale - ha sottolineato Bash - usando le armi chimiche contro la sua stessa popolazione uccidendo migliaia di persone, inclusi bambini". Insomma, la posizione di Obama che sembrava aver accettato, suo malgrado, la possibilità che Assad potesse avere un ruolo nella ricostruzione post-bellica del Paese, magari prendendo parte alle annunciate elezioni democratiche, sarebbe stata già cestinata.

Questo spiega perchéMosca ha fretta di chiudere vittoriosamente l'assedio di Aleppo: la vittoria del regime metterebbe lo stesso in condizioni di indubbio vantaggio nelle future trattative per la pacificazione del Paese. La sconfitta dei ribelli, la riconquista delle regioni siriane tutt'ora sotto il controllo dell'Isis: se Assad prendere parte alle future elezioni del Paese con queste carte, ottiene una facile vittoria. Vladimir Putin ne è consapevole e, pertanto, nella moderna Stalingrado si sta svolgendo l'ennesimo confronto tra due superpotenze sulla pelle di circa 250 mila civili.