Pur con il supporto dell'aviazione russa, l'esercito regolare siriano rafforzato dalle milizie Hezbollah e dai Pasdaran iraniani sta incontrando notevoli difficoltà ad Aleppo, dove le forze ribelli ed i jihadisti di ex ispirazione qaedista stanno resistendo strenuamente tra le macerie di quella che è stata definita una "Stalingrado del XXI secolo". Le notizie che giungono oggi da Pechino, però, rafforzano ulteriormente Bashar al-Assad il cui potere è la questione che, ad oggi, blocca concretamente la possibilità di riuniire il fronte anti-Isis in Siria.

L'ammiraglio Guan Youfeu ha incontrato il vice di Assad, Fahd Jassem al-Freij, annunciando che il governo cinese fornirà aiuti umanitari ed addestramento militare alle forze armate siriane. Nel contempo, lo stesso ufficiale delle forze armate di Pechino si è seduto con Sergej Charkov, generale russo di corpo d'armata il cui incarico in Siria è quello di responsabile della riconciliazione delle parti in guerra.

Asse pericoloso per l'Occidente?

A conti fatti, se prima Assad poteva contare su un potente alleato, il presidente russo Vladimir Putin, ed aveva l'appoggio incondizionato dell'Iran, oggi incassa il sostegno di una potenza economica e militare come la Cina che, evidentemente, ha compreso il momento di oggettiva difficoltà vissuto dagli Stati Uniti in Medio Oriente e vuole entrare nella partita.

L'asse Mosca-Teheran-Pechino sarebbe davvero "scomodo" per l'Occidente e, nel contempo, rafforzerebbe le speranze di continuità del regime siriano. Se due superpotenze parteggiano insieme per l'attuale presidente della Siria è difficile immaginare un futuro in cui quest'ultimo si faccia da parte. L'ipotesi più probabile, quella chiesta dalla Russia ormai da tempo, è che venga concesso a Bashar Al-Assad di prendere parte alle prime elezioni democratiche del Paese in quanto il suo è "l'unico governo legittimo".

La Russia intensifica i raid aerei

Un'altra importante novità è relativa allo schieramento di aerei da guerra russi in Iran. Dalla base di Hamadan sono già decollati due bombardieri di Mosca, distruggendo cinque depositi di armi, due posti di comando e numerosi campi di addestramento delle milizie jihadiste (anche se c'è il forte sospetto che i raid siano stati condotti anche contro le postazioni dei ribelli, ndr).

Questo permetterà di intensificare gli attacchi aerei. Inoltre il ministro degli Esteri russo Sergej Shoygu ha annunciato che un accordo con gli Stati Uniti, per risolvere la questione dell'assedio di Aleppo e raggiungere una tregua, è in itinere. Secondo l'esponente del governo di Mosca, sarebbe un punto di partenza per avviare la pacificazione del Paese. Nessun commento ufficiale, invece, dal dipartimento di Stato americano.

Erdogan, un piede in due staffe

Sul palcoscenico insanguinato della questione siriana c'è un attore importante che sta recitando più ruoli. La recentevisita di Recep Erdogan in Russia lascia presagire ad un avvicinamento di Ankara a Putin ma la Turchia resta comunque un partner NATO ed ha finora recitato una parte importante in Siria.

Ha appoggiato il fronte anti-Assad e c'è sempre stato il forte sospetto che dal Paese eurasiatico siano partiti aiuti destinati alle milizie jihadiste. Erdogan, nonostante un momento di compresibile attrito seguito alla dura repressione post-Golpe, resta un alleato degli Stati Uniti ed ha dato il suo assenso alla recente operazione militare condotta dal Fronte Democratico Siriano che ha strappato all'Isis la città di Manbij. Questo silenzio-assenso però avrebbe un prezzo da pagare: Ankara ha chiesto a Washington l'allontanamento delle milizie curde che hanno combattuto contro lo Stato Islamico. In base alla proposta, questi devono ritirarsi ad est dell'Eufrate lasciando il controllo alle fazioni arabo-siriane. Un bel problema per la Casa Bianca, considerato che i curdi hanno svolto un ruolo cardine, decisivo per la presa di Manbij. Per l'amministrazione Obama è l'ennesimo imbarazzo in Medio Oriente.