La scrittrice americana Lierre Keith, intervistata da Francesco Borgonovo per La Verità, il quotidiano diretto da Maurizio Belpietro, spiega il perché abbia deciso di abbandonare il veganismo e di denunciarne le gravi conseguenze. L’occasione è stata un convegno internazionale - organizzato dal Progetto Carni Sostenibili e svoltosi lunedì 14 novembre a Roma - dal titolo ‘Il ruolo della carne nell’alimentazione umana.

Novità dalla ricerca’. La Lierre è autrice del best seller Il mito vegetariano, libro nel quale vengono confutate tutte le credenze che alimentano il “mito vegetariano”. Per la scrittrice statunitense il veganismo sarebbe equiparabile ad una setta i cui membri sono “instabili emotivamente” a causa della mancanza dei “nutrimenti necessari” nel cervello. Inoltre, essere vegani significa andare incontro a gravi malattie. Le sue tesi coraggiose le sono costate minacce di venire sfregiata con l’acido e, persino, di morte.

La Keith malata per colpa della dieta vegana

La base del ragionamento di Lierre Keith è il fatto che l’agricoltura non debba essere considerata meno violenta dell’allevamento.

Anzi, senza la carne l’uomo non potrebbe vivere perché “ci sono troppe sostanze nutritive che vengono a mancare senza la carne”. La Keith parla per esperienza personale perché adesso, dopo anni di dieta vegana, dice, “la mia colonna vertebrale sta degenerando, ho sviluppato una tiroide cronica autoimmune e varie altre cose. Tutti danni permanenti”. La razza umana si è evoluta mangiando carne da sempre. Adesso, invece, un po’ per moda e un po’ per ignoranza, i vegani “non capiscono che l’agricoltura è la pratica umana più distruttiva in assoluto” perché compie una “pulizia biotica” nel terreno.

I tre tipi di mito vegetariano secondo la scrittrice

Dunque, secondo la Keith, il “mito vegetariano” può essere classificato in “tre tipi”: vegetariani nutrizionali, vegetariani politici e vegetariani morali.

I primi, spiega la Keith, sono convinti che il veganismo faccia bene alla salute, ma la storia e l’archeologia insegnano che da quando l’uomo ha cominciato a praticare l’agricoltura “si è rimpicciolito di 6 pollici e ha perso i denti”. I vegetariani politici, invece, “pensano che se ognuno fosse vegetariano ci sarebbe cibo per nutrire il mondo intero” ma, secondo la Keith, il problema della sovrapproduzione di mais è stato creato dalle multinazionali dell’agro alimentare che inonderebbero comunque il mercato di prodotti agricoli. La terza categoria di vegani, quelli “morali”, infine, sono coloro che pensano che “si possa avere cibo senza che gli animali vengano uccisi”. Ma su questo argomento la scrittrice americana taglia corto: “Non capiscono che la vita senza la morte non è possibile”.